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Mes, la lettera dei dissidenti M5s: 42 deputati e 16 senatori. Il 9 dicembre Conte può cadere, neppure Mattarella può opporsi

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Il 9 dicembre è la prova delle prove. Per quella data Giuseppe Conte si troverà in Parlamento per presentare il Mes verificando - a tutti gli effetti - se il governo vanta la maggioranza. Sul Meccanismo europeo di stabilità l'esecutivo è diviso: da una parte il Pd da sempre a favore dei prestiti Ue, dall'altra il Movimento 5 Stelle di parere opposto. Eppure le divisioni sono anche interne. I grillini infatti si spaccano. A mettere i bastoni tra le ruote al premier e al reggente pentastellato Vito Crimi una lettera firmata da 42 deputati e 16 senatori del Movimento che minacciano di bloccare il via libera al Fondo salva-Stati (sostenuto in pubblica piazza proprio dallo stesso Crimi ndr). "Se accadesse - spiega un autorevole ministro a Repubblica -, sarebbe un disastro agli occhi dell'Europa".

 

 

Un pensiero condiviso anche con il Quirinale dove la preoccupazione è forte: il voto contrario sulla riforma del Mes sarebbe uno schiaffo all'Europa e aprirebbe una crisi politica perché costringerebbe fatalmente Conte a salire al Colle. Spianando la strada a elezioni anticipate per eleggere un Parlamento di 600 componenti, invece degli attuali 915. Una crisi - precisa il quotidiano di Maurizio Molinari - che tuttavia non sarebbe Sergio Mattarella a innescare ma s' imporrebbe da sé come fatto inevitabile, visto che si tratterebbe di un voto negativo sulle ragioni fondanti della maggioranza. L'obiettivo, dunque, è quello di smaltire la fronda dei Cinque Stelle riottosi. Nel giro di un paio d'ore, due deputati (Fantinati e Di Stasio) smentiscono di aver mai sottoscritto il documento; la collega De Carlo ritira invece la firma, come pure la senatrice Russo. Eppure l'obiettivo non è facilmente raggiungibile perché - come spiega Repubblica - se i 54 dissidenti rimasti (39 alla Camera, 15 al Senato) dovessero votare contro la risoluzione pro-Mes, i giallorossi andrebbero sotto in entrambi i rami del Parlamento dimostrando l'incapacità dell'esecutivo di reggersi sulle proprie gambe.

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