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Povera Calabria dimenticata da tutti (soprattutto dai politici )

La scelta del Commissario in Calabria vista da Homer Simpson

La Sanità, la 'ndrangheta, i politici fancazzisti, l'alternarsi dei commissari: come si affossa un popolo e un territorio

Francesco Specchia
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Chiamatela Sua Sanità. Diceva, col candore di un bimbo, l’ineffabile Agazio Loiero che “la sanità è la nostra Fiat” mentre, da presidente Pd della Calabria, si premurava di distribuire nomine a raffica (di concerto con le forze politiche che reggevano la sua maggioranza) di direttori generali e di manager delle aziende sanitarie locali e provinciali della terra sua. Loiero fu l’ultimo presidente della storia recente a nominare, poi arrivò l’era dei commissari.

Uno dietro l’altro. I Commissari, nella regione in cui la sanità assorbe 3,7 miliardi dei 7 dell’intero bilancio, si alternano da dieci anni con frequenza impressionante. Mentre Gino Strada annuncia “un accordo di collaborazione tra Emergency e Protezione civile per contribuire concretamente a rispondere all'emergenza sanitaria in Calabria” smentendo così il suo arrivo come nuovo commissario (ma non è detto) emerge ora, tra i rumors, la candidatura a Commissario di Federico Maurizio D’Andrea, cosentino, ex colonnello della Guardia di Finanza già consulente di Beppe Sala nella Commissione per la trasparenza del Comune di Milano. Ma c’è pure chi, come Guido Bertolaso, ritiene la questione calabrese non più un’emergenza medica ma amministrativa; e ne propone al controllo un solido uomo di legge come il Procuratore Nicola Gratteri. Il quale, tra l’altro, apre proprio un fascicolo sull’emergenza Covid in Calabria. Tutto questo senza considerare che l’unico commissario ad aver davvero quasi azzerato il debito fu Giuseppe Scoppeliti; ossia un signore agli arresti da 5 anni per un reato -falso in bilancio- che fa sorridere nella prima regione italiana per numero di omicidi, 6.681 all’anno.

 

Nella maestosità dell’insieme, il premier Conte “si assume tutta la responsabilità perché sono stati fatti passi sbagliati”. Ma il vero problema è che in Calabria è da una vita che si aspetta il passo giusto. E non è solo una questione di bilancio pubblico sgraziato, un bilancio che Giulio Tremonti affermava si tramandasse per tradizione orale. E non serve ricordare che la sola Asp di Reggio Calabria ha debiti per 1 miliardo o che la Regione -forse- sia sotto di 2 miliardi e mezzo. Forse, nessuno lo sa. Non serve ricordare che i creditori privati delle insolventi aziende sanitarie pubbliche calabresi vendono ora i loro crediti a banche estere. Né che esistano, tuttora, ospedali inattivi seppur nuovi di zecca (Rosarno). Né che l’ndrangheta, il vero controStato, abbia sempre più un’influenza nefasta sui concorsi pubblici; e, nella stretta creditizia, nutra l’usura sugli appalti; e metta in fuga medici e infermieri e disarmi gli organici già messi a dura prova dalla “zona rossa” costellata da 936 positivi e 10 morti al giorno. La Calabria non più quella ruvida, dignitosa, ancestrale nell’Aspromonte abbandonato dagli uomini. Oggi sono i calabresi ad essere abbandonati dalle istituzioni. Non sono serviti gli annunci, i buoni propositi e gli omicidi di Lea Garofalo, Franco FortugnoJán Kuciak, dei bambini di tre anni come Cocò Campolongo e di tutti gli altri. I cittadini si sono assuefatti all’inerzia, al malaffare, vivono la classe politica del territorio come una malattia endemica. Forse la questione è letteraria. “Del breve sonno divino approfittò il diavolo per assegnare alla Calabria le calamità: le dominazioni, il terremoto, la malaria, il latifondo, le fiumare, le alluvioni, la peronospera, la siccità, la mosca olearia, l’analfabetismo, il punto d’onore, la gelosia, l’Onorata Società”, scriveva Leonida Repaci, calabrese. E non gli erano ancora passati sotto il naso i commissari…

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