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Giorgia Meloni, la prima vittoria impossibile della leader di FdI: quando Gianfranco Fini provò a ostacolarla

Gianluca Veneziani
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 Lei è Giorgia, una donna, una madre, una cristiana. E, per tutti, la Sorella d'Italia, il leader politico più gradito del nostro Paese, sondaggi alla mano, e l'unica italiana alla guida di un partito europeo. Se ascolti il suo nome, pensi a una figura legata alla terra: Giorgia è in greco "colei che lavora la terra" e Meloni ti fa pensare ai frutti estivi dei campi. Ma, se guardi il suo impegno, capisci che le sue radici profonde (che non gelano) si combinano a una vocazione alle stelle, come quella di Atreju, il personaggio de La storia infinita in lotta contro il Nulla. Questi elementi preliminari aiutano solo a tratteggiare la complessità politica di Giorgia Meloni, guida di Fratelli d'Italia e del Partito dei Conservatori e Riformisti europei. Ma, per spiegarne il successo e comprendere come ella sia potuta diventare un Fenomeno della politica, ci viene in soccorso il bel libro del giornalista Francesco Boezi, Fenomeno Meloni (Gondolin, pp. 180, euro 17, acquistabile su edizionigondolin.com): più che una biografia, una fenomenologia di Giorgia e del progetto politico a lei correlato, il "melonismo". Al fine di analizzare la sua consacrazione attuale e intuire il suo probabile destino di donna al potere, è saggio volgere lo sguardo indietro, ripartendo dal momento in cui tutto è nato. Boezi nel libro suggerisce due punti di svolta decisivi, che hanno indirizzato il cammino di Giorgia sulla Strada Diritta, per dirla con Tolkien. Il primo è il congresso di Viterbo di Azione Giovani (Ag), il movimento giovanile di An, nel 2004. Giorgia si candida alla presidenza, con una lista chiamata "Figli d'Italia" (profetica del suo partito futuro), sostenuta dai "gabbiani", ossia i militanti vicini a Fabio Rampelli, e da Destra Protagonista, che ha come referenti principali Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa. Ma la Meloni è tutto tranne che la favorita: come sfidante ha un giovane valido e accreditato, Carlo Fidanza (attuale europarlamentare di Fdi), appoggiato sia dagli alemanniani, e quindi dal mondo della destra sociale, che dai finiani presenti nella corrente di Adolfo Urso e Altero Matteoli.

 

 



Retroscena - A riguardo l'autore svela un retroscena interessante: Gianfranco Fini, allora leader di Alleanza Nazionale, non intende puntare su Giorgia, ma sul candidato di Alemanno al fine di ristabilire gli equilibri interni al partito. Suo interesse è depotenziare Destra Protagonista, la corrente più forte di An, e affidare la struttura giovanile alla destra sociale, in modo da accontentarla e placarne l'insofferenza. Quello di Fini non è un giudizio di merito sui due candidati, ma una tattica funzionale per tenere in mano le redini del partito e soddisfare le pretese dei "colonnelli". Del resto, se proprio Fini deve puntare su un candidato di Destra Protagonista, più che la Meloni, probabilmente indicherebbe Stefano Massari, allora dirigente di Ag che, come ricorda l'attuale onorevole di Fdi Giovanni Donzelli, «riscuote le simpatie di Fini e Gasparri». Vista oggi, non proprio una scommessa lungimirante, quella del segretario di An, visto che Massari ha poi smesso di fare politica In ogni caso, la tattica finiana fallisce sia perché i delegati giovanili vicini a Urso e Matteoli, più liberali e filo-atlantisti, si sentono poco rappresentati dalla destra sociale; sia perché la visita di Fini in Israele, in cui il segretario di An definisce il fascismo «male assoluto», suscita i malumori della destra sociale, che attacca i finiani. Cosicché alcuni di questi, anziché scegliere Fidanza, optano per la Meloni. Giorgia alla fine la spunta per una manciata di voti, chi dice otto, chi quattro. Una volta divenuta presidente di Ag, la Meloni riesce a ricompattare le varie correnti del movimento giovanile, con straordinaria capacità di sintesi. E riesce anche a creare un «rapporto di cordialità», come lo definisce una fonte, con Fini. Il quale investirà infatti su di lei, scegliendola prima per il ruolo di vicepresidente della Camera nel 2006 e poi per quello di ministro della Gioventù nel 2008. Nondimeno la scelta della Meloni, oltreché per il riconoscimento delle sue qualità, viene fatta da Fini verosimilmente in chiave strategica: il segretario di An, nota Boezi, vuole «lanciare un segnale diretto ai "colonnelli", che nel frattempo hanno manifestato un po' di insofferenza» nei suoi confronti. Comunque sia, forte di questi ruoli, la Meloni conduce Ag (poi Giovane Italia) nella fase delicata di confluenza di An nel Pdl: passaggio vissuto dalla struttura giovanile con ottimismo perché «An, per i militanti di Ag» è diventata «una realtà pesante da supportare e sopportare».

Strategia - L'entusiasmo tuttavia si smorza quando Giorgia si accorge che nel Pdl è difficile creare meccanismi di democrazia interna, come le primarie. E soprattutto quando assiste al sostegno di Berlusconi al governo Monti. È il secondo punto di svolta della sua carriera: la Meloni, con determinazione, compie il "salto nel buio". Nel dicembre 2012 esce dal Pdl e, insieme a La Russa e Crosetto, fa nascere Fratelli d'Italia. È un momento drammatico per la destra una volta riunita in An: quel mondo, di lì a poco, si troverà spaccato in quattro, tra la rinata Fi, il finiano Futuro e Libertà, l'Ncd alfaniano e il meloniano Fdi. Ma, ancora una volta, contro ogni pronostico, la Meloni dimostra un'ammirevole capacità aggregante, riportando in pochi anni le varie anime della destra sotto un unico tetto e ricostruendo un mondo disperso, di cui sono rimaste solo le macerie. COERENZA E DEDIZIONE La aiutano doti personali e politiche che anche gli avversari le riconoscono, ossia coerenza, convinzione, umiltà, dedizione (Giorgia è una dei politici che studia di più) e propensione alla leadership. Ma, alla base del successo di Fdi, ci sono almeno altre tre ragioni. La prima è che la Meloni non è un fenomeno isolato, ma l'espressione di un mondo, di un vissuto fatto di partecipazione e militanza che si può riassumere sotto la definizione di «generazione Atreju», come il nome della kermesse organizzata annualmente a settembre da Fdi: molti degli uomini e delle donne che oggi occupano ruoli dirigenziali nel partito sono cresciuti con lei, condividendone lo spirito, le battaglie e gli obiettivi. Remano nella stessa direzione, oltre le correnti. La seconda è la forza di radicamento e di inclusione che la Meloni ha saputo dare al partito: Fdi si è rivolta a quelle che Boezi chiama "contee", cioè alle realtà periferiche e ai territori dimenticati dagli altri partiti, raccogliendo le istanze popolari ignorate dalla sinistra arroccata nelle grandi città; e recuperando la dimensione comunitaria e sociale, cara a una certa destra. In più Fdi ha saputo essere partito non della fazione ma della nazione, in una chiave «patriottica» che tende ad accogliere personalità provenienti da altri mondi in nome di un principio ben chiaro: rendere simili gli altri e non assimilarsi a chi arriva. Da ultimo, il principale scarto rispetto al finismo si potrebbe definire la sete di Infinito. Fuori da ogni retorica, Giorgia fa politica in nome di quelli che Sant' Agostino definiva «i figli della speranza»: ossia lo sdegno per la realtà delle cose e il coraggio per cambiarle. La Meloni ha riportato in politica non l'ideologia, ma l'idealità. Gli elettori lo hanno capito e la seguono nella sua lotta strenua contro il Nulla.

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