Silvio Berlusconi e Giuseppe Conte, l'emendamento salva Mediaset spacca il centrodestra
Due piccioni con un emendamento. L'obiettivo ufficiale della maggioranza è frenare la corsa dei francesi di Vivendi, che dopo essere diventati primi azionisti di Telecom Italia sono saliti in Mediaset, di cui controllano una quota del 29%, seconda solo a quella di Fininvest (38%). Aiutare in questo modo Silvio Berlusconi, però, significa garantirsi la non belligeranza di Forza Italia, già avviata dal suo leader sulla strada della «responsabilità», tanto da rendersi disponibile a scrivere insieme ai giallorossi la prossima manovra. Per Giuseppe Conte può essere un'assicurazione sulla vita, giacché i numeri su cui si regge il governo, in particolare al Senato, sono fragilissimi. Nasce così la modifica al decreto Covid approvata ieri a palazzo Madama, che assegna all'autorità per le Comunicazioni il potere di bloccare i transalpini qualora la loro posizione sia ritenuta «lesiva del pluralismo». C'è già stato un primo risultato: la Lega non ha votato la norma, che invece è stata condivisa dai Fratelli d'Italia, e alcuni forzisti hanno attaccato in modo durissimo gli "alleati" salviniani. Un punto per Conte e i partiti che lo sorreggono, quindi. Anche se per metterlo a segno hanno dovuto inventarsi una norma che i grillini, sino a poco tempo fa, avrebbero respinto ritenendola «ad personam» e «salva-Berlusconi».
Sei mesi di tempo - La partecipazione dei francesi in Mediaset, infatti, era stata già bloccata dall'autorità per le Comunicazioni e "congelata" al 10% in base alla legge Gasparri del 2004, che mette un tetto alle quote che un unico soggetto può detenere nelle società che si occupano di tv e telecomunicazioni. Un mese fa, però, era intervenuta la Corte di Giustizia europea, dichiarando quel limite contrario al diritto della Ue. Ma il vantaggio così conseguito da Vivendi è stato azzerato dalla norma approvata ieri, che presto diventerà legge dalla Camera. Il parlamento approfitta di uno spiraglio lasciato aperto dai giudici europei e «in considerazione delle difficoltà operative e gestionali derivanti dall'emergenza sanitaria in atto», ossia usando il Covid come giustificazione, incarica l'autorità per le Comunicazioni di fare un'istruttoria lunga sei mesi. Al termine di questa, il garante Giacomo Lasorella potrà «inibire l'operazione» ritenuta pericolosa per il pluralismo «o rimuoverne gli effetti». E Lasorella, ex vicesegretario generale della Camera, è stato nominato ad agosto su indicazione di Luigi Di Maio. In sostanza, l'emendamento presentato dalla piddina Valeria Valente, ma scritto dai ministri Roberto Gualtieri (Pd) e Stefano Patuanelli (M5S) su mandato di Conte, dà sei mesi a Berlusconi per trovare un'intesa con Vincent Bolloré, presidente di Vivendi, e sterilizza l'intervento del Tar del Lazio, chiamato a pronunciarsi sul ricorso presentato dai francesi. Oltre, naturalmente, ad aprire un nuovo fronte nella partita che vede il governo di Parigi freddo sulla cessione a Fincantieri di Chantiers de l'Atlantique, per la quale ha preso tempo sino a fine anno. Sono stati gli stessi esponenti della maggioranza a far sapere che l'emendamento era stato «condiviso dalla opposizione». Non da tutta, però, e si è visto in commissione Affari Costituzionali, dove il testo è passato, ma con il voto contrario della Lega. Durante questo dibattito il leghista Ugo Grassi, grillino sino a un anno fa, ha accusato i suoi ex compagni di movimento di volersi «alleare con Berlusconi», tanto da far dire agli esponenti del Pd presenti che sembrava di sentir parlare «l'avvocato di Vivendi».
Lo scontro - Risultato: l'ala di Forza Italia vicina a Mara Carfagna è insorta. Il senatore Andrea Cangini ha accusato Matteo Salvini di avere «cambiato slogan: da "prima gli italiani" a "prima i francesi"». Più morbido il forzista doc Maurizio Gasparri, il quale ha difeso l'emendamento sostenendo che esso «non è ad aziendam o ad personam, ma risponde a un indirizzo di difesa del sistema produttivo italiano». L'ambizione di Salvini non era comunque quella di spaccare il proprio fronte e passare come amico dei francesi. Così ne ha discusso con Berlusconi in una telefonata che per gli uomini del Capitano è stata «cordiale, perché Matteo ha contestato il metodo e non il merito», e che ad Arcore definiscono «serenissima nei toni», forse un po' meno nei contenuti. Fatto sta che in serata, quando lo stesso testo è stato votato in aula, la Lega si è limitata all'astensione. Il suo leader ha preso la parola per dire di non credere al «presunto scambio» e ha assicurato di ritenere Mediaset «una grande azienda italiana che va tutelata». Aggiungendo, però, che una riforma come quella delle comunicazioni «non si fa di notte con un emendamento al decreto Covid, ma con trasparenza». La distanza tra alleati si è ridotta, ma rimane. Così come la paura leghista dell'inciucio.