Tanko, il processo sei anni dopo: il pm ricorre contro l'archiviazione chiesta da lui stesso
Il bello della giustizia italiana è che non finisce mai di stupire. L'ultimo spunto arriva da Venezia e riguarda l'udienza preliminare, la terza, su un gruppo di indipendentisti - meglio conosciuti come "serenissimi" - che si sono fatti portatori dell'indipendenza del Lombardo-Veneto attraverso l'operazione Tanko 2, il carrarmato artigianale con il quale i secessionisti avrebbero dovuto occupare piazza San Marco, in Laguna, contro la Repubblica italiana. Era il 2012, 15 anni dopo l'8 maggio del 1997, quando altri "serenissimi", partiti dal Padovano, occuparono la stessa piazza con un Tanko trasportato a bordo di un camion rubato. L'operazione riempì le cronache nazionali per giorni. Si pensò anche che dietro vi fosse la mano dell'allora Lega Nord di Umberto Bossi, che smentì. Ma non è delle rivendicazioni territoriali che vogliamo parlare, quanto della giustizia che vi ruota intorno. Se, infatti, il processo su Tanko 1 ha avuto un inizio e una fine, quello su Tanko 2 risulta anomalo, almeno per chi ne è coinvolto.
Tra questi Gianluca Marchi il cui nome compare nell'elenco delle 49 persone che la notte tra l'1 e il 2 aprile del 2014 fu oggetto del blitz dei Ros, che ammanettarono 23 delle 49 persone poi iscritte nel registro degli indagati. Gravissima l'accusa: associazione finalizzata al terrorismo internazionale. Dopo 15 giorni il tribunale del Riesame rimette tutti in libertà e spiega che Brescia non è competente a sbrigare la faccenda dal momento che il Tanko in questione era stato trovato in un capannone della provincia di Rovigo. Ma niente. Brescia non ne vuole sapere di mollare e fissa la prima udienza preliminare per il 2017. E che succede? Un pasticcio con gli incartamenti del Tanko 2 che iniziano a fare dei giri immensi: Brescia-Rovigo-Venezia con un rimpallo di responsabilità tra tribunali al limite dell'immaginazione con annesso spreco di risorse pubbliche. Fissata l'udienza a Brescia, il presidente della Corte d'Assise si accorge che la città lombarda non è la sede territoriale di competenza. Risultato: si va tutti a Rovigo e viene fissata una seconda udienza preliminare. E siamo al 2018. Qui il procuratore capo chiede l'archiviazione per 32 dei 49 indagati. In pratica va processato soltanto chi ha preso parte attivamente all'organizzazione della "rivolta" (filone di inchiesta che porterà alla condanna di 12 secessionisti) e non chi non era al corrente delle reali intenzioni degli organizzatori. I più, infatti, non sapevano nemmeno dell'esistenza del Tanko che, secondo una perizia fatta fare dal tribunale, un proiettile sparato dal cannoncino non avrebbe rotto nemmeno un vetro a due metri di distanza. Ma questa è un'altra storia. Succede, poi, che «lo stesso procuratore che aveva chiesto il non luogo a procedere, fa ricorso contro la sua stessa sentenza, sollecitata e ottenuta», spiega Marchi, tra gli indagati, «e quindi invia il ricorso alla Corte dei Cassazione».
E che dicono i giudici della corte suprema? Che il ricorso non va presentato a loro, ma alla Corte d'Appello di Venezia, che territorialmente ha la competenza su Rovigo. Detto fatto, e chissenefrega dei soldi spesi in una burocrazia che è di difficile comprensione. In ogni caso, tutto procede e l'udienza preliminare (la terza) viene fissata per la primavera 2020. Ma, causa Covid, viene rinviata a oggi. Tutto bene? Affatto. L'udienza sarà rinviata ancora una volta. Motivo? Da Venezia dicono che il ricorso non andava inviato alla Corte d'Assise, ma alla Corte d'Appello. «Siamo alla terza udienza preliminare e non si capisce come mai il procuratore di Rovigo continui a sbagliare la corte su cui fare appello», osserva Marchi. «Si tratta dello stesso procuratore che ha chiesto il non "doversi procedere" per tutti gli imputati ad eccezione di quelli coinvolti direttamente, che lo ottiene, che poi fa ricorso e che sbaglia... Se non fosse che di mezzo c'è il futuro di decine di cittadini, la soluzione ideale sarebbe una grande risata». Che dire: otto anni per fissare una udienza, otto anni vissuti accanto a dei "pericolosi terroristi".