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Luca Zaia contro i negazionisti: "Troppe preoccupazioni sul coronavirus, siamo prudenti"

Pietro Senaldi
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 Dopo il Covid sarà tutto diverso. La pandemia ci cambierà in meglio. Le crisi sono un'occasione di crescita. Queste sono le nenie che ci hanno consolato quando è arrivata la prima ondata, a fine febbraio, e il governo si preoccupava di farci cantare come fessi dai balconi. Quasi dieci mesi dopo, all'avvento annunciatissimo e atteso del secondo tempo, scopriamo che è tutto uguale, abbiamo imparato poco dagli errori e la crisi è stata l'occasione per chiudere negozi e imprese. Quando cadrà il divieto del governo lo diventerà anche per licenziare. Chi si è dimostrato all'altezza in primavera, si sta confermando capace.

È il caso del presidente del Veneto, Luca Zaia. Chi, come il governatore campano Vincenzo De Luca, era stato risparmiato dalla sorte e faceva il fenomeno, oggi annaspa e chiude le scuole, ambiente piuttosto sicuro, così i ragazzi hanno più tempo per contagiarsi in strada. Se si vuol capire qualcosa su come affrontare la recrudescenza autunnale della pandemia quindi, meglio interrogare il primo piuttosto che il secondo. Anche se, a differenza del collega dem, l'amministratore leghista quando parla e fa conferenze stampa non cerca il titolo. «C'è pressione ospedaliera ma non emergenza» attacca il Doge, come lo chiamano nelle calli vicino a Palazzo Balbi, la sede della Regione.

«Oggi abbiamo 50 pazienti in terapia intensiva e 400 in ospedale, a marzo erano diverse centinaia in rianimazione e 2.400 ricoverati. E poi ne ricoveravamo uno su cinque, mentre oggi il 96,5% dei positivi è asintomatico. Il dato dei contagiati superiore a quello di marzo non è indicativo, è dovuto solo al fatto che oggi facciamo una incredibile mole di tamponi. Noi qui in Veneto, solo nelle ultime settimane, abbiamo fatto un milione e mezzo di test rapidi. La mappatura del territorio è fondamentale nella lotta al virus, fin dai tempi degli esami a tappeto a Vo Euganeo».

Il presidente leghista è stato uno dei baluardi della lotta al Covid. Si è dovuto abituare a essere esaltato anche dalla sinistra, che ha provato a strumentalizzarlo in chiave anti-Salvini e per attaccare la Lombardia. Non potendo scalfirne il potere in laguna, dove già prima della pandemia il governatore vantava il 70% dei consensi, la maggioranza giallorossa ha cercato di utilizzare Zaia e il modello Veneto come arma per screditare il governatore Fontana e la più grande, popolosa e ricca regione italiana, feudo del centrodestra. «Pur conscio che ciascuno, quando parla, ha le proprie finalità, ringrazio cortesemente i miei estimatori giallorossi, ai quali ricordo che la mia terra è il Veneto e di qui non mi schiodo. Gli applausi fanno piacere, da ovunque arrivano, ma non si prende il 77%, questa è la percentuale con cui sono stato rieletto meno di un mese fa, per far politica in giro. Anche in questo, sono leghista fino in fondo» chiosa il Doge.

Qual è il modello Zaia di governo, presidente?
«Lavorare molto, sentirsi sulla pelle la responsabilità di rappresentare un popolo e non buttarla mai in politica. Io non ho abbassato la guardia quest' estate, non sono andato in vacanza».

Il governo invece ha cicalato quest' estate, dormendo sui benefici dei tre mesi di clausura, e oggi ci ritroviamo alle prese con la seconda ondata
«Non facciamo polemiche quando ci sono di mezzo i morti. Ho troppe preoccupazioni per sprecare energia in discussioni. Io parlo solo per me. Ho sempre tenuto la guardia altissima e non ho mai smesso di lavorare, come immagino altri miei colleghi. Fin da giugno ho iniziato a pensare allo scenario autunnale, che è più complicato perché ormai abbiamo sviluppato una psicosi: tutti, appena hanno un raffreddore, si convincono di avere il Covid e fanno pressione sul sistema sanitario».

Che sta reggendo?
«Qui in Veneto solo il 10% dei posti in terapia intensiva è occupato dai pazienti Covid. Siamo nel momento in cui il semaforo, poco fa verde, inizia a segnare giallo e a lampeggiare».

Per quando prevede il rosso?
«Potrebbe non arrivare mai. Dipende anche dal comportamento degli italiani. Ai quali dico, come sempre, che devono indossare la mascherina».

Osservare il distanziamento e lavarsi le mani
«Sì, ma questa non è una litania, sono accorgimenti salva-vita. La mascherina ci aiuterà a sconfiggere il virus».

Quanto è preoccupato?
«A marzo non dormivo la notte».

E adesso?
«Ho ricominciato a svegliarmi di colpo».

Come ha preparato la Regione durante i mesi estivi all'inevitabile arrivo della seconda ondata?
«Ho scorte di mascherine e materiale sanitario per mesi. Prima della pandemia, l'azienda ospedaliera di Padova utilizzava 950 camici al mese; oggi ne consuma 4.500 al giorno».

Eravamo imprudenti prima
«Come si fa a dire che era incuria? Se prima del Covid avessi obbligato i medici a cambiare camice tutti i giorni mi avrebbero messo in galera per danno erariale».

Come ha fatto a fare un milione e mezzo di test rapidi in poche settimane?
«Rafforzando il fronte della diagnostica. Abbiamo ideato una quarantina di punti, aperti dalle 7 alle 13, dove i cittadini hanno accesso ai tamponi. Facciamo il test rapido e in cinque minuti i cittadini sanno se sono positivi».

Scusi, se il test rapido fosse sicuro quanto il tampone molecolare lo farebbero tutti, non crede?
«Grazie al lavoro del professor Rigoli, il coordinatore del Centro di Microbiologia di Treviso, abbiamo fatto undicimila test doppi, tampone rapido e classico, e abbiamo visto che nel 99% dei casi i risultati sono sovrapponibili. Il test veloce consente di non fermare il Paese. D'altronde in medicina si ragiona così: prima di sottoporsi a una tac, si fa l'esame del sangue. Il nostro tampone è autorizzato dalla Food and Drug Administration, l'ente governativo americano che si occupa di regolamentare i prodotti farmaceutici».


È favorevole alle chiusure che il governo si appresta a fare?
«Io qui in Veneto, al momento, non chiuderei nulla. Ci siamo organizzati per andare avanti e sto lavorando duro per non fare nessun lockdown».

Ma lei non è quello della didattica a distanza?
«Che non significa chiusura. Penso, e ribadisco, che i ragazzi più grandi, in questa fase, possano seguire un'alternanza: metà in classe, metà a casa, per non avere sovraffollamento a scuola e per non sovraccaricare il trasporto pubblico, che è uno dei massimi veicoli di contagio».

Se il governo chiude tutto, lei strappa?
«La pandemia non si affronta facendo a braccio di ferro. È giusto che ci sia una regia nazionale a gestirla ma essa prevede tavoli di confronto con il territorio. Ogni Regione ha la sua storia, sia per quanto riguarda l'epidemia che per la sanità pubblica, la sensibilità della popolazione e l'uso del denaro».

In altre parole, vuol fare tutto da solo
«È fondamentale che i governanti capiscano che la differenza tra le Regioni e Roma è che noi abbiamo i malati all'uscio di casa, loro no. Il governo deve rispettare la nostra autonomia».

La maggioranza giallorossa ha detto più volte che la pandemia è la prova che la sanità dev' essere gestita dal centro
«I centralisti hanno torto a prescindere, perché ragionano con mentalità medievale. Sono anacronistici e la loro teoria dello Stato porta al fallimento. In Veneto abbiamo 68 ospedali, 58mila sanitari e 80 milioni di prestazioni l'anno da erogare. Mi spiega com' è possibile che il sistema sia gestito da Roma? La macchina della sanità è troppo complessa per essere centralizzata. D'altronde, lei mi ha chiesto qual è il segreto del mio modello di governo; glielo spiego subito: essere sempre presente sul posto. Per fermare il virus in Veneto devi essere qui».

Nostalgia della secessione?
«La pandemia ci ha insegnato che la ricetta vincente è l'autonomia differenziata, prevista peraltro dai nostri padri costituenti. Chi è capace di volare da solo, va lasciato andare. Lo Stato aiuti chi ha bisogno, ma non freni la nostra libertà. Noi sappiamo bene cosa fare».

Le è mancata autonomia nel gestire la prima ondata?
«I tamponi di Vo Euganeo, idea mia peraltro, mi hanno portato grande popolarità. E questa ha aiutato. Il segreto del Veneto è che abbiamo fatto una riforma della sanità vincente, istituendo un unico centro di acquisti di coordinamento, e abbiamo creato una squadra di lavoro performante. Poi, non abbiamo mai mollato: io sono stato 140 giorni consecutivi presente nell'unità di crisi».

Una raccomandazione dal guerriero del Covid?
«Voglio dire ai negazionisti che il punto non è fare la conta dei malati o della minore letalità del virus. La questione è che bisogna essere prudenti perché altrimenti gli ospedali si congestionano e tornano a occuparsi solo di Covid. Il che significa non curare gli altri e aumentare il numero dei decessi».

Però il virus è davvero meno letale
«Può essere che sia mutato, che ragioni in maniera conservativa e, come tutti gli esseri viventi, non vuole distruggere il suo habitat, che è il corpo umano. Oppure sta scomparendo di suo, come prima o poi fanno tutti i virus, o si è diffusa una certa immunità. O, solamente, stiamo beneficiando del clima, che non si è ancora fatto rigido. Il Covid in fondo è un corona, ovverosia una forma influenzale, e pertanto riprende violenza con il freddo. Non sono uno scienziato, non spetta a me dirlo. Sono solo certo che comunque, un giorno finirà».

Allora è ottimista, andrà tutto bene?
«Solo i pessimisti non fanno fortuna». 

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