Coronavirus e polizia a casa, il retroscena: così Franco Gabrielli ha frenato Roberto Speranza
La polizia nelle case per evitare assembramenti non era affatto una minaccia campata per aria. A fermare il governo da simile avventata ipotesi è stato Franco Gabrielli, niente di meno del capo della Polizia che ha chiarito le diverse criticità. Questo quanto svelato da un retroscena de Il Riformista che cita una nota di Gabrielli in risposta al ministro dell'Interno. Luciana Lamorgese, sentita la proposta di Roberto Speranza e Dario Franceschini, si era infatti appellata al direttore generale della Pubblica sicurezza. Ci sono “questioni di ordine giuridico” e altre di ordine pratico, è l'incipit della pagina e mezza vergata da Gabrielli. Fra queste ultime il capo della polizia ricorda - a detta del quotidiano - che le forze dell’ordine hanno già abbastanza da fare nel contrasto dei reati, la gestione dei flussi migratori e ora anche le norme di contenimento anti-coronavirus. Dunque, è escluso che possano occuparsi anche di controlli che “potrebbero nascere da meccanismi delatori, rivalità e dissidi di vicinato”.
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“Al riguardo – si legge ancora nella nota intitolata "Ipotesi riguardanti gli assembramenti destinati a svolgersi nei luoghi di privato domicilio" – si fa presente che la soluzione prospettata non sembra agevolmente praticabile alla luce dell’articolo 14 della Costituzione che riconosce l’inviolabilità del privato domicilio”. E, ancora, Gabrielli riporta il governo con i piedi per terra e ricorda che la “tutela della salute dell’incolumità pubblica” non basta a far sì che la polizia irrompi nelle abitazioni. ”Ci sarebbe un modo per autorizzare questi controlli - è la conclusione - il Parlamento dovrebbe dichiarare lo stato di guerra e conferire al governo i poteri necessari per farvi fronte”. E, ovviamente, questo non è il caso.