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Luca Zaia, lezione a De Luca: coronvirus, il modello Veneto. Tamponi a tappeto e corsie vuote

Giuliano Zulin
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Tanti anni fa c'era una famosa pubblicità di un dentifricio che è entrata nella testa degli italiani: prevenire è meglio che curare. Si può sintentizzare in queste 5 parole il metodo di Luca Zaia nell'affrontare la pandemia. Con un tocco in più: la capacità di non fermarsi a quello che raccontano i virologi e gli scienziati più mediatici. Il governatore è andato oltre pensando con la propria testa e tenendo presente che ogni territorio fa storia a sé. A fine febbraio fu il primo a insistere sui tamponi diffusi, poiché solo conoscendo la reale situazione sanitaria della popolazione, si potevano prendere decisioni. Alla fine il modello Zaia ha fatto scuola. Ora in tutta Italia si fanno test a tappeto. Ma il Doge sta già lavorando alla prevenzione del futuro, delle prossime settimane. A parte il test rapido che in dieci minuti ti dice se hai il Corona - da poco entrato in funzione e decisivo per scuole, case di riposo e ospedali - stanno arrivando due nuovi tipi di tamponi: 1) quello mini, che potrà essere usato da un comune cittadino senza fare file, il quale determinerà un'auto-diagnosi. 2) il test che indicherà se una persona ha l'influenza A, l'influenza B o il Covid. Insomma, l'esame fondamentale per dissipare ogni dubbio sul paziente, ristabilendo quella normalità sanitaria essenziale per salvaguardare l'ordinaria attività degli ospedali e dei medici di base. Certo, Zaia non si è fermato a leggere le raccomandazioni dell'Oms - che a fine febbraio, tra l'altro, sostenevano l'inutilità dell'uso della mascherina - e non ha badato a spese per la salute. Ha capito per primo, tra le altre cose, che l'isolamento domiciliare degli asintomatici - ah, tra l'altro è stato a Vo' Euganeo che si sono scoperti i famosi asintomatici - era la chiave di volta per non intasare gli ospedali. Per primo creò i "drive in" dove accogliere malati per eseguire i tamponi, onde evitare code nei nosocomi.

 

 

 

Un abisso da marzo - E poi il presidente veneto da subito ha insistito sull'uso delle mascherine, infatti solo l'1,8% dei medici in terapia intensiva si è ammalato e appena il 3% degli altri dottori è stato contagiato. A un certo punto, va detto, Zaia se l'era comunque vista brutta: aveva raddoppiato i quasi 500 posti per i pazienti critici. Fortunatamente però non c'è stato bisogno di usare le nuove postazioni. Complice il lockdown, l'emergenza è lentamente calata. Fino all'estate tranquilla, durante la quale tuttavia il Doge non si è fermato con i tamponi. La sua regione ha il record di esami fatti. Adesso Zaia, che ha evitato il peggio, si può presentare a testa alta ai tavoli romani, nonostante ieri in Veneto sia stata superata quota 30mila di casi positivi dal 21 febbraio. Esattamente sono 30.107. Nelle ultime 24 ore sono stati 533 i nuovi positivi e 3 i decessi. Ma i numeri che contano, quelli delle terapie intensive, sono diversi: appena 21. L'ha spiegato proprio il presidente nella conferenza stampa di mercoledì, sciorinando numeri da restare a bocca aperta, mostrando un'inedita tabella nella quale si raffronta la situazione ospedaliera dello scorso 7 marzo con quella del 7 ottobre. I dati indicano con chiarezza come, tra marzo e ottobre, la pressione sugli ospedali sia profondamente diminuita: - il 7 marzo la percentuale di ricoverati rispetto al totale dei positivi era del 31,8%, scesa oggi al 6,6% - i ricoverati in terapia intensiva rispetto al totale dei positivi, il 7 marzo erano l'11,3%, dato sceso oggi allo 0,5% - i ricoverati in terapia intensiva rispetto al totale dei ricoverati, il 7 marzo erano il 46,2%, scesi oggi al 7,6% - anche la degenza media è diminuita: il 7 marzo tra 17 giorni e 14 giorni, oggi è tra 12 e 8. - rimane infine molto simile tra le due date prese in esame l'età media dei ricoverati in terapia intensiva. C'è una cosa diversa, fondamentale, rispetto a marzo, come afferma lo stesso Zaia: «Oggi come oggi, col 95% dei pazienti asintomatici, ci troviamo a fronteggiare un virus diverso da quello di febbraio-marzo, che non sta determinando un'emergenza sanitaria».

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