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Gregoretti, Danilo Toninelli interrogato da Giulia Bongiorno: imbarazzo per il governo e Giuseppe Conte

Fausto Carioti
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La brutta notizia che non si aspettavano. Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta dovranno testimoniare a Catania sulla vicenda della nave Gregoretti, convocati dal giudice dell'udienza preliminare. Una incombenza che si sarebbero risparmiati volentieri. Anche perché tutti costoro, oltre che dal gup che li ha chiamati, saranno interrogati da Giulia Bongiorno, determinatissimo avvocato difensore di Matteo Salvini. La quale potrà metterli di fronte a ogni contraddizione, scavare nelle loro reticenze. Si spiega anche così, con la convocazione a sorpresa per un match che si annuncia difficilissimo, l'imbarazzo dei «supertestimoni». Tra i quali solo un laconico Conte ha commentato la novità: «Quando la magistratura chiama, anche un responsabile politico deve subito rispondere. Riferirò tutte le circostanze di cui sono a conoscenza». Ci sono tutti i presupposti perché il confronto che il 20 novembre attende lui e la Bongiorno, i due legali più noti della politica (nonché compagni di governo per quindici mesi), finisca negli annali.

 

AMBIGUITA' DA SMASCHERARE
Di ambiguità da smascherare ce ne sono tante. Il presidente del Consiglio e gli altri ministri dell'esecutivo gialloverde condividevano la linea di Salvini? Se sì, hanno le sue stesse responsabilità. Dunque enormi, secondo la sinistra con cui adesso sono alleati. Erano contrari alle decisioni del ministro dell'Interno? Allora non solo dovranno spiegare perché di questa loro opposizione non esista traccia, ma pure smentire il loro stesso operato. Come la scelta di Conte e Di Maio di trattare con gli Stati Ue e la Commissione di Bruxelles per il ricollocamento all'estero degli immigrati a bordo di quella nave, ritenuto condizione necessaria per autorizzare lo sbarco. O rinnegare la politica dell'immigrazione concordata con Salvini, che Conte ha continuato a difendere quando era già alla guida del governo giallorosso: «La sovranità di uno Stato consente a tale Stato di controllare i suoi confini, di escludere gli stranieri dal suo territorio e di prescrivere leggi che disciplinano l'ingresso di stranieri...». Tra gli "invitati" al processo di Catania c'è pure Luciana Lamorgese, che ha preso il posto del leghista al Viminale ed è l'unica del gruppo la cui presenza è stata chiesta dalla Bongiorno. Il suo sarà un impaccio diverso da quello dei colleghi.

 

 

Dovrà illustrare, ad esempio, come mai, durante il suo incarico, la nave Ocean Viking di Medici Senza Frontiere, con 104 immigrati a bordo, sia stata lasciata in mare dal 18 ottobre al 29 ottobre 2019 prima che le fosse consentito l'attracco in un porto italiano. «Proprio come ai tempi di Salvini», hanno accusato le ong e gli organi di stampa progressisti. Vero. Tutti, insomma, sono attesi da un esame molto difficile, nel quale una parola di troppo o una mancata spiegazione potranno inguaiarli o discolpare il loro principale avversario. Esemplare il povero Toninelli, uno dei grillini che ha più il dente avvelenato col capo della Lega. In mattinata si è lasciato andare all'ennesimo sfogo su Facebook, accusando «il megalomane» ex collega di governo di aver bloccato Catania. «Da mesi sta facendo il martire, come se l'unico processo in Italia fosse il suo».

SIMUL STABUNT, SIMUL CADENT
Baldanza che si è spenta appena Toninelli ha saputo che lo attende un difficile passaggio sotto le grinfie dei magistrati e della Bongiorno, durante il quale dovrà spiegare come mai, proprio lui, andasse in giro a vantarsi di aver bloccato gli sbarchi. «Non Salvini, ma Salvini assieme al sottoscritto e al presidente del consiglio Conte», raccontava l'allora ministro delle Infrastrutture nel suo italiano farraginoso, «abbiamo diminuito, con una cifra veramente enorme, il numero degli sbarchi. Significa che stiamo facendo un buon lavoro di squadra». E giustizia vorrebbe, allora, che fossero scagionati o condannati tutti insieme. 

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