Giuseppe Conte indagato: ha obbligato Siri a dimettersi, ora resiste. Tutti i reati dei grillini "onesti"
Omicidio colposo, disastro, lesioni, abuso d'ufficio e falso in atto pubblico. Sono questi i reati per i quali la sindaca pentastellata di Torino, Chiara Appendino, è stata indagata, restando al suo posto, e poi rinviata a giudizio, restando ancora al suo posto, nonostante il principio da sempre proclamato con orgoglio dai grillini in base al quale "chi è indagato si deve dimettere senza ma e senza se". La prima cittadina torinese attualmente è imputata in due procedimenti e lo scorso 6 febbraio i procuratori hanno chiesto per lei, nell'ambito del processo Ream, una condanna a un anno e due mesi di carcere per falso e abuso d'ufficio. Anche la sindaca di Roma, Virginia Raggi, è stata indagata per abuso d'ufficio eppure i cinquestelle non hanno ritenuto in questo caso opportuno che ella facesse un passo indietro. E come dimenticare poi l'ex sindaco di Livorno, Filippo Nogarin, il quale, mentre era sotto inchiesta per omicidio colposo plurimo per l'alluvione del Rio Maggiore che il 10 settembre del 2017 provocò la morte di otto persone tra cui un bimbo di appena quattro anni, fu candidato comunque dal M5s alle consultazione europee del 26 maggio del 2019. Quindi non soltanto chi è indagato permane sullo scranno ma gli viene permesso addirittura di presentarsi al cospetto degli elettori. La morale grillina si capovolge in un baleno, allorché ciò conviene. Essa si applica in maniera intransigente soltanto nei confronti dei nemici, in particolare dei leghisti.
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L'uomo tutto d'un pezzo Giuseppe Conte nel maggio scorso chiese e pretese le dimissioni del leghista Armando Siri, allora sottosegretario ai Trasporti nel governo gialloverde, poiché sotto indagine per corruzione: si diceva avesse intascato 30 mila euro, di cui non si è trovata traccia. L'inchiesta che coinvolgeva Siri riguardava un presunto giro di tangenti nell'ambito della industria eolica. Il sottosegretario incontrò Conte chiedendogli la possibilità di essere sentito dai magistrati prima di essere obbligato a dimettersi. L'avvocato del popolo rifiutò categoricamente la proposta con queste parole: «Le dimissioni o si danno o non si danno. Dimissioni future che vengono ricollegate a iniziative giurisdizionali non credo abbiano senso». Piccolo appunto: Siri non fu mai rinviato a giudizio eppure dovette ritirarsi. Che rigore morale questo Conte! È da ammirare, anzi no - pardon -, sarebbe da ammirare se egli adottasse la stessa inflessibilità nei confronti di se stesso. Invece no. Macché.
Tutto scorre - I cinquestelle sono duri con gli avversari, mandano Matteo Salvini a processo per avere adempiuto ai suoi doveri in qualità di ministro dell'Interno, però si dimostrano poi morbidissimi tra di loro. Giustizialismo e clemenza convivono perfettamente, ovvero senza alcun imbarazzo, sotto giacca e cravatta. Regole cristalline e ferree si conformano alla loro convenienza, come quella dei due mandati, la cui funzione era impedire che un individuo facesse il politico di professione. E cosa accade ora che il premier e mezzo Consiglio dei ministri sono sotto inchiesta? Un bel niente. Tutto scorre come sempre. Come se nulla fosse. Eppure Conte & Company non sono mica sospettati di avere rubato la marmellata alla nonna o di avere lanciato aeroplanini di carta durante la riunione del comitato tecnico-scientifico. La carne sulla brace è tanta roba: il foggiano ed i ministri Luigi Di Maio, Alfonso Bonafede, Roberto Gualtieri, Lorenzo Guerini, Luciana Lamorgese e Roberto Speranza sono indagati per i reati penali di epidemia colposa, attentato alla libertà dei cittadini, omicidio colposo, delitti colposi contro la salute, abuso d'ufficio (un classico dei grillini, a quanto sembra), attentato contro la Costituzione. La fedina penale di Al Capone era meno nutrita. Qui non si tratta di una tangentina da 30 mila euro né del presunto sequestro di persona di un centinaio di clandestini invasori, bensì di oltre 35mila morti. Tuttavia, la squadra di governo non si schioda. Nessuno che alzi la manina per dichiarare: «A questo punto ritengo doveroso mollare». È più facile che domani nevichi piuttosto che Giuseppi Churchill, per coerenza, si ritiri. Non siamo mai caduti tanto in basso. Ma i pentastellati, i quali ci riserveranno ancora numerosi colpi di scena, si ostinano. Per loro, dopotutto, si può ancora raschiare il fondo del barile.