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Pietro Senaldi a Giorgia Meloni: "Usare il fucile contro FdI? Vai dai pm, non dai giornalisti"

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Giorgia Meloni ha presentato all'Ordine dei Giornalisti un esposto contro il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, per aver ospitato un articolo di dubbio gusto nel quale un suo collaboratore accusa Fratelli d'Italia di essere un partito fascista e invita i partigiani del Comitato Nazionale di Liberazione a risorgere e dargli una lezione definitiva a schioppettate. Non pago, il collega spiega che, poiché non si è mai visto un pesce svuotarsi l'acquario da solo, bisognerebbe aiutare i fascisti a farlo, come 75 anni fa. Non serve uno sforzo di fantasia per comprendere che al Fatto c'è chi auspica l'intervento di qualche difensore della democrazia che liberi il governo Conte dal fastidio di avere delle opposizioni in Parlamento prendendo a fucilate i sostenitori della Meloni.

Poiché per il momento in Italia non esiste ancora il diritto di uccidere i fascisti, e tantomeno chi la sinistra ritiene tale, ci permettiamo di suggerire alla leader di Fratelli d'Italia, la cui indignazione è sacrosanta, di approfittare della fortunata circostanza, finché dura, per rivolgersi non all'Ordine dei Giornalisti, bensì alla Procura della Repubblica e denunciare per istigazione a delinquere chi vuol prenderla a schioppettate. La via è stretta, perché i pm faticano a mettere alla sbarra il loro guru, fondatore dell'organo di stampa della casta in toga, però proprio per questo potrebbe essere più ricca di soddisfazioni. Normalmente, quando uno querela il Fatto, Travaglio viene assolto non per il diritto di critica bensì per quello di satira. Non è un verdetto di cui andare fieri, ma il direttore non fa mai appello, benché egli abbia l'aria di prendersi molto sul serio e il proscioglimento che lo fa passare per un barzellettiere anziché per un giornalista dovrebbe indurlo alla reazione a qualsiasi costo.

CONOSCENZA DIRETTA
Conosco l'Ordine dei Giornalisti perché ne faccio parte e perché mi ha processato più volte. Personalmente non vi ho mai fatto ricorso per difendermi dagli insulti che mi piovono a decine ogni giorno e neppure dagli identikit senza capo né coda che il Fatto talvolta mi riserva onorandomi della sua antipatia. Li ritengo libera espressione del pensiero altrui, o dell'assenza di esso. Quando, alla sbarra come direttore di Libero, in genere provo a difendermi chiedendo ai colleghi giudicanti perché, se noi affermiamo che Asia Argento non è Maria Goretti e Greta Thunberg non è Antonio Zichichi veniamo processati, mentre se altri scrivono che Salvini è un cazzaro, Berlusconi un delinquente e Meloni una fascista ed evocano un'intercettazione mai risultata in atti processuali in cui si dice che «la Merkel è una culona inchiavabile» e poi su questo cade un governo, nessuno dice alcunché.

Immancabilmente mi viene risposto di presentare un esposto. Ma io non lo farei mai verso un collega, perché non ho lezioni etiche da dare e gradirei non mi si impartissero. Perciò alla giornalista Meloni suggerisco di alzare la spalla, tirare su il bavero del cappotto, correggere il caffè e andare innanzi, o meglio in Procura. L'Ordine non deve giudicare di eventuali reati commessi dai giornalisti, tocca alla magistratura farlo. Gli esposti sono un'arma subdola. Permettono ai collegi disciplinari di agire contro qualcuno e archiviare qualcun altro senza prendersi mai la totale responsabilità del procedimento. In Italia siamo in sessanta milioni e non si può piacere a tutti. È fatale che un titolo o una parte d'articolo possano diventare oggetto di un esposto, promosso magari da chi ha visto solo la prima pagina in tv o non ha letto tutto lo scritto. Ci si accanisce contro la parte per mandare alla sbarra e zittire il tutto, ovverosia un giornale che non piace, considerato rivale, e le cui opinioni fanno venire l'orticaria a molti. Ma questo non è giusto. Sarebbe opportuno che l'Ordine dei Giornalisti, se proprio deve processare qualcuno, aprisse procedimenti per articoli che ledono l'onorabilità della professione secondo il metro di giudizio della categoria e non del pubblico.

UNA PROPOSTA
Mi permetto un suggerimento ai colleghi. Processare le opinioni, per quanto brusche, emette cattivo odore. Non è cosa limpida, si corre il rischio di pasare per faziosi. Più imparziale sarebbe perseguire chi dice balle, chi prende denaro per scrivere una notizia e ometterne altre, chi svolge la professione servendo interessi economici o politici e dissimulando una libertà di giudizio che non ha. In questi tempi in cui il giornalismo non riesce più a orientare il dibattito culturale, è svilente vederlo al traino del pensiero del più forte o di chi è più di moda. L'Ordine dovrebbe preservare come perle i colleghi che hanno un pensiero divergente e non belano nel gregge del politicamente corretto, che non ha fortuna in edicola e non la sta avendo neppure in economia, etica, democrazia e giustizia.

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