M5s, dopo i due addii in Parlamento la maggioranza rischia: c'è già l'ipotesi sulla data della crisi
La maggioranza non c'è più. Almeno numericamente parlando. Con l'addio della senatrice Alessandra Riccardi, passata dal Movimento 5 Stelle alla Lega, i giallorossi, a Palazzo Madama, scendono a quota 160, ovvero uno in meno rispetto all'asticella della maggioranza assoluta, fissata a 161. Poi, si sa: la Camera alta è un posto dove l'aritmetica non fa tanto testo. E la coalizione si regge grazie alla benevolenza di qualche senatore a vita, di ex grillini generosi o di assenze tattiche da parte dell'opposizione. Però il dato politico è questo. E non è il solo. Perché, nella giornata di ieri, si è registrata l'incazzatura di Nicola Zingaretti verso i Cinquestelle. Ma come, è stato il ragionamento fatto ai suoi, quelli dicono «governiamo insieme quattro anni» e poi non vogliono fare le alleanze alle elezioni regionali, regalando vittorie facili al centrodestra? Il problema principale del segretario dem non è porre problema politici agli alleati, ma trovare qualcuno con cui parlare. I 5s sono un casino. Condannati a restare senza un leader politico dal fondatore Beppe Grillo, che ieri ha incassato anche la reazione di Davide Casaleggio, il quale si è schierato dalla parte di Alessandro Di Battista.
I DEM TREMANO
Procediamo con ordine, partendo da Zinga. Il tema delle elezioni di medio termine gli brucia in prima persona. A settembre andranno al voto sei Regioni, quattro delle quali amministrate dalla sinistra. Ed è possibile che la situazione si ribalti, con un 4 a 2 per la coalizione guidata da Matteo Salvini. Specie se il Pd dovesse essere impallinato dal fuoco amico di 5s e Italia viva. «Da oggi le destre combattono unite in tutte le Regioni, anche se spesso all'opposizione sono divise. Invece tra le forze politiche unite a sostegno del governo Conte prevalgono i no, i ma, i se, i forse, le divisioni. Il motivo», scrive Zingaretti su Facebook, «è ridicolo: si può governare insieme 4 anni l'Italia, ma non una Regione o un Comune perché questo significherebbe alleanza strategica». Siamo come Tafazzi, chiude il suo sfogo il leader democratico. Già oggi c'è chi mette in discussione la sua guida. Figurarsi dopo un'eventuale sconfitta all'election day di settembre. Non se lo può permettere. Per questo mette anche fretta a Palazzo Chigi: «La maggioranza dovrebbe chiudere dei capitoli aperti da troppo tempo, legati alla rinascita italiana: penso ad Alitalia, ad Autostrade o all'ex Ilva di Taranto. Lo hanno detto tutti, anche il presidente Conte, ma ora bisogna davvero chiudere».
M5S IN PEZZI
E poi ci sono i casini nei Cinquestelle. Ieri hanno mollato in due. La deputata Alessandra Ermellino e, soprattutto, la senatrice Riccardi, creando lo scompiglio nei numeri descritto poc'anzi. Riccardi aveva votato contro il processo a Salvini sul caso Open Arms, dunque il suo addio era nell'aria: «Sono arrivata a questa scelta dopo averci riflettuto a lungo, non è stato semplice ma era diventato impossibile portare avanti idee e progetti per i quali avevo deciso di far parte del Movimento 5 stelle». Gianluca Perilli, capogruppo del Movimento 5 Stelle al Senato, la prende con filosofia: «Abbiamo superato la prova, difficile, dell'ultima volta, con due richieste di numero legale, l'ultima delle quali superata alla prima chiama, e il gruppo ha risposto compatto. Per quel che mi riguarda dinanzi ad ogni difficoltà sono uno che combatte e non si arrende...». Ma è il clima generale, tra i grillini, a essere irrespirabile. C'è chi saluta per non dover più pagare l'obolo mensile e chi invece se ne va perché non vede più un futuro per un movimento rimasto senza guida. Ieri Davide Casaleggio si è schierato contro Grillo, difendendo Di Battista, che chiede un congresso: «Alessandro ha sempre dato tanto al M5s, vedrà in che modo vorrà dare supporto al Movimento. Non entro nel merito di singole candidatura o singole persone. Siano gli iscritti a scegliere», dice Casaleggio jr in una intervista a Fanpage.it.