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Matteo Salvini e Luca Zaia, il contratto-ultimatum in vista delle regionali: "Fedeltà assoluta, altrimenti briciole"

Alessandro Gonzato
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La condizione posta da Luca Zaia è chiara: «Qui in Veneto vedo improbabile che qualcuno possa fare o dire qualcosa col sottoscritto se prima non si è convertito all'autonomia». Ha detto «improbabile», ma significa «impossibile». Per le regionali e le amministrative pare che si voterà il 20-21 settembre. Il governatore dell'ex Serenissima considera l'autonomia la madre di tutte le battaglie. Non è stato facile, nell'anno e mezzo di governo Lega-5 Stelle, tenere a freno l'insofferenza del suo popolo. Il "Doge", nonostante l'ostruzionismo di Roma, è riuscito a celebrare il referendum, il 99% si è schierato a favore, ma nella Capitale i grillini sono riusciti a bloccare il Carroccio. Ora che si appresta a venir eletto per la terza volta, Zaia pretende fedeltà assoluta alla causa, almeno da parte degli alleati: l'alternativa è correre da solo, e la sua lista e quella della Lega non avrebbero problemi a ottenere la maggioranza assoluta dei consensi, il che in base alla legge elettorale (maggioritaria con un'aggiunta di proporzionale che scatta oltre il 50%) gli consentirebbe di portarsi a casa 33-34 seggi su 52, lasciando le briciole a Fratelli d'Italia e Forza Italia.
 

 

LE RESISTENZE
ntrambi, nel 2017, ufficialmente si sono schierati a favore dell'autonomia. Ma di fatto Fdi rimane contraria. I forzisti non è che abbiano dato anima e corpo. Salvini, martedì scorso a Verona per lanciare la ricandidatura di Zaia, ha dichiarato che «in Veneto come a Roma la precondizione per un'alleanza è l'autonomia». La Meloni, salita l'indomani a Verona per il funerale del senatore (ex capogruppo di Fdi) e amico Stefano Bertacco, si è innervosita parecchio per i modi e i tempi ma ha preferito far rispondere al deputato e coordinatore regionale Luca De Carlo: «Salvini ha avuto un anno e mezzo di tempo per finalizzare l'autonomia e portarla a casa». L'assessore leghista allo Sviluppo Economico del Veneto, Roberto Marcato, ha replicato: «Meglio correre da soli. Fratelli d'Italia è centralista». Non è un mistero, anche se all'interno del partito il clima rimane abbastanza sereno, che la componente veneta del Carroccio si aspettasse di più da quella lombarda. Se è vero che a casa di Zaia la Lega non avrebbe problemi a fare corsa a sé, altrove il quadro è molto diverso. Andranno al voto altre 6 Regioni e gli equilibri sono fragili. Ieri Salvini ha incontrato nuovamente la Meloni e Antonio Tajani. La riunione, cominciata attorno alle 14, è stata interrotta dopo un'ora. Ancora niente di fatto: si rivedranno nei prossimi giorni, forse già oggi. In Toscana, anche contro l'ala più moderata del suo partito nonché di Fdi e Fi, Salvini ha spinto a lungo per candidare la fedelissima europarlamentare Susanna Ceccardi, alla quale - alla luce dei sondaggi e della sconfitta in Emilia Romagna di Lucia Borgonzoni - sarebbe disposto a rinunciare per imporre il candidato in Puglia, dove però la Meloni ha designato da mesi Raffaele Fitto: quella del leghista sembra una manovra strategica per puntare ad altro.
 

I VETI DI MATTEO
L'ex vicepremier non vuole il forzista Stefano Caldoro in Campania (c'è l'accordo sul candidato, che spetta a Forza Italia, ma non sul nome) e il rifiuto ha bloccato ancora una volta il via libera al meloniano Francesco Acquaroli nelle Marche. Giovanni Toti, in Liguria, è la certezza (assieme a Zaia), ma anche lui in caso il centrodestra si presentasse diviso sarebbe a rischio. È probabile che Salvini, Meloni e Berlusconi troveranno l'accordo bilanciando la scelta dei governatori con quella dei candidati sindaci. Tra le principali città al voto ci sono Trento, Mantova, Lecco, Reggio Calabria, Matera, Agrigento, Crotone e Nuoro. 

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