Walter Veltroni, tutti razzisti tranne i compagni: cosa "scorda" nella sua maratona contro odio e razzismo
Era ora. Dopo mesi scanditi dai bollettini della protezione civile e dalle conferenze stampa di Giuseppe Conte, si torna finalmente a parlare dei valori, quelli alti, che riguardano la convivenza civile, la giustizia sociale, la discriminazione razziale, la diversità di genere. Avevamo passato buona parte dello scorso anno e l'inizio di questo a ragionare quotidianamente sulla condizione dei migranti che si riversano in massa sulle nostre coste, sui rigurgiti di neofascismo alimentati dai partiti sovranisti, sulle cittadinanze onorarie concesse a raffica da decine e decine di comuni italiani alla senatrice Liliana Segre. Poi più nulla. Il maledetto virus ci ha costretto a guardare altrove. Ci voleva la morte del povero George Floyd e l'indignazione mondiale contro l'America di Trump (praticamente identica a quella di sempre, anzi le violenze della polizia negli ultimi anni sono addirittura scese) per risvegliare le coscienze e scuoterci dal torpore. A farsi carico della ripartenza morale ci ha pensato il Corriere della Sera, che ha lanciato per oggi una maratona letteraria contro l'odio dall'elevatissimo valore simbolico. La data non è stata scelta a caso. L'inizio della dittatura stalinista? La strage di Piazza Tienanmen? L'attentato al Bataclan di Parigi? Macché. Il 12 giugno è il giorno in cui è nata Anna Frank, la giovane ebrea tedesca deportata e poi morta nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, diventata simbolo delle atrocità della Shoah. seconda opportunità Neanche il libro è stato scelto a caso.
L'autore è infatti Walter Veltroni, editorialista del Corsera, che tre mesi fa ha pubblicato un saggio che quasi nessuno, a causa del lockdown, ha potuto comprare. Per concedere un'altra opportunità ai fan dell'ex segretario Pd, sul sito del quotidiano oggi diversi esponenti della cultura radical chic di sinistra, da Jovanotti al regista Paolo Sorrentino, dallo scrittore Sandro Veronesi alla ex senatrice piddina Anna Finocchiaro, leggeranno alcune pagine del volume. Il titolo? "Odiare l'odio". Già, proprio così. Quando sentiamo qualcuno che dice di essere innamorato dell'amore non abbiamo solitamente pensieri particolarmente positivi sul concetto espresso. Qui, però, è tutta un'altra storia. Veltroni è l'icona dell'internazionale buonista, l'ispiratore dell'Ulivo mondiale, il cantore dell'inclusione e del "volemose bene". Se dice che bisogna odiare l'odio ci sarà un motivo. L'ex sindaco di Roma di cose brutte ne ha conosciute. Fa politica nel Pci da quando ha i pantaloni corti e a 21 anni (nel 1976) era già consigliere comunale nella Capitale. Erano gli anni in cui i comunisti mangiavano ancora i bambini, in cui Leonid Breznev guidava l'Unione sovietica e in cui i rubli del Pcus rimpinguavano le casse di Botteghe Oscure. Veltroni, a modo suo, ha fatto i conti con quel passato, sostenendo che «si poteva stare nel Pci senza essere comunisti», che considerava Breznev «un avversario» e la sua dittatura «un nemico da abbattere». Ma quando discetta di odio non è a quello che si riferisce. Il libro parla anche delle grandi persecuzioni del Novecento, però è sul presente che si concentra il ragionamento. Sulla fragilità della nostra democrazia, sulla voglia dell'uomo forte, sui pericoli del populismo. Per carità, l'ex direttore dell'Unità critica anche chi si «rinserra nelle trincee del politicamente corretto, immaginandolo come un bastione dal quale rovesciare olio bollente contro chi non si adegua».
Ma nel mirino non ci sono i Vauro, gli Oliviero Toscani, gli Chef Rubio o i mille altri cherubini della sinistra pronti a riversare odio contro il sovranista di turno colpevole di non aderire al pensiero unico dell'internazionale buonista. solito messaggio Anche loro esagerano, sembra dire Veltroni, e non dovrebbero farlo. Ma i seminatori d'odio sono altri. Sono gli egoisti sociali, quelli che alzano i muri, che condannano l'immigrazione, che ti giudicano per il colore della pelle o per la diversità sessuale o religiosa. Alla fine, pur affogato in un mare di parole, il messaggio è sempre rivolto a loro. A chi chiede pieni poteri, facendo balenare la scorciatoia dell'autoritarismo, a chi non rinuncia alle proprie idee e ai propri valori, accusato di voler tornare ad un'epoca buia che neanche ha mai vissuto. L'odio produce odio, spiega Veltroni, ma anche la retorica produce retorica.
E l'iniziativa del Corriere sembra perfetta per sfornarne a fiumi. Alimentando quella fabbrica di insofferenza, di presunzione e di intolleranza buonista che lo stesso ex segretario dice di voler combattere. Il copione, purtroppo, lo conosciamo. La passerella degli intellettuali di sinistra, oltre ad una buona operazione editoriale, rappresenta l'ennesimo tentativo di rinchiudere il centrodestra nel recinto dei cattivi, sperando che questo eroda una base elettorale che non vuole saperne di ridursi. Come finisce lo abbiamo già visto con Silvio Berlusconi, che di odiatori nel nome del bene supremo ne aveva a bizzeffe.