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Giuseppe Conte, il premier messo a dura prova dall'arrivo di Carlo Bonomi: "La Fase 2 è partita molto male"

Giuseppe Conte

Fausto Carioti
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 Per Giuseppe Conte la musica cambierà domani pomeriggio, quando Carlo Bonomi prenderà ufficialmente la guida di Confindustria. Il suo predecessore uscente, il salernitano Vincenzo Boccia, è stato un contraltare comodo per il governo giallorosso: piccoli screzi a parte, su quel fronte sinora al premier è andata di lusso. Così come al grillino Stefano Patuanelli, ministro per lo Sviluppo economico, e ai responsabili dell'Economia e del Lavoro, Roberto Gualtieri (Pd) e Nunzia Catalfo (M5). Tutti abituatisi a una convivenza priva di traumi con la grande industria, nonostante i ritardi, i vizi ideologici e gli errori commessi. Col cremasco Bonomi e la sua squadra sarà tutto diverso. In sintonia con i suoi colleghi di Assolombarda e gli altri industriali del Nord, il nuovo capo di viale dell'Astronomia ha già dato i primi colpi. Ha detto ai giallorossi che «è del tutto inaccettabile avviare una campagna di nazionalizzazioni dopo aver indotto le imprese ad iper-indebitarsi», che la fase 2 «è partita molto male, perché non ci hanno ascoltato», e ha chiesto al governo di «tagliare l'Irap, pagare i debiti della pubblica amministrazione alle imprese private e sbloccare i fondi già finanziati per le opere pubbliche». Ottenendo ascolto solo sull'Irap.

Erano gli antipasti. Domani, insediato, inizierà a fare sul serio. L'assemblea che lo incoronerà si svolgerà in forma privata, con pochi presenti e altri collegati online, e Bonomi ieri era intenzionato a non diffondere pubblicamente il testo del proprio discorso. Ma darà comunque il segnale della svolta immediata, senza concedere tregua a Conte, perché è convinto che il governo e la stessa Confindustria abbiano già sprecato troppo tempo. È l'ultima cosa della quale il presidente del Consiglio sentiva il bisogno. Per lui questi sono i giorni della sindrome d'accerchiamento. Il cambio della guardia alla guida del quotidiano Repubblica e la linea del nuovo direttore Maurizio Molinari lo hanno convinto che John Elkann e il salotto buono della borghesia settentrionale intendono dargli il benservito. Il fatto che la fase peggiore dell'epidemia sembri passata, politicamente parlando è un ulteriore problema. Se nei giorni dell'emergenza nera una crisi di governo era impossibile, ora che la vita recupera una parvenza di normalità non è più così: l'uomo che ha guidato il Paese nel periodo più brutto smette d'essere inamovibile. E dentro al Pd e nei palazzi che contano gira una sola domanda: siamo sicuri che l'inesperto avvocato di Volturara Appula sia l'uomo giusto per guidare la ripartenza? Bonomi, Elkann e ciò che resta del grande capitalismo del Nord, la loro risposta l'hanno già data.

 

 

 

Il nervosismo e l'irascibilità di Conte (l'altra sera, in conferenza stampa, ha maltrattato chi si era permesso di chiedergli lumi sulle mascherine che non si trovano) si spiegano anche così. E lo sfarinamento dei Cinque Stelle sotto la guida del loffio Vito Crimi di certo non lo conforta: se si spaccano i grillini, mettere in piedi una nuova maggioranza diventa un gioco da ragazzi. Così, nel tentativo di imbullonarsi alla poltrona, a Conte non resta che rispolverare la vecchia retorica dell'uomo del popolo. Sentendosi circondato da élite ostili e partiti freddi nei suoi confronti, prova a saltarli rivolgendosi direttamente agli italiani. Entra nelle loro case in diretta tv all'ora di cena e si fa intervistare dal quotidiano Leggo per dire che la persona migliore per guidare la fase che inizia adesso è proprio lui: «Stiamo facendo l'impossibile per venire incontro in tempi ancora più rapidi alle esigenze di tutti...». Ma paga il peccato originale del suo governo, figlio di una manovra di palazzo contro Matteo Salvini e di un tweet di Donald Trump. Il karma bussa alla porta di Conte e gli presenta il conto: il meccanismo che si è messo in moto adesso è rivolto contro di lui, e stavolta il presidente degli Stati Uniti non sarà dalla sua parte, imbufalito com' è perché l'Italia si è schierata con la Cina nella vicenda della tecnologia digitale 5G e in altre partite importanti. Troppi nemici, e troppo potenti, per un uomo che ha commesso così tanti errori e va in giro circondato da una squadra d'incapaci.

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