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Toti il sommergibile: come chiedere l'autonomia post Covid senza cercare lo scontro

Giovanni Toti

Francesco Specchia
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Come il mitico, omonimo u-boot degli anni 20 vanto delle Regia Marina -il sommergibile “Toti”, appunto- il Toti governatore della Liguria dà il meglio di sé nelle missioni pericolose, di scandaglio e sorveglianza. La sua abilità di muoversi velocemente sotto la cresta dell’onda, nonostante la stazza non leggiadra, lo porta oggi ad un annuncio educato ma potente. “Nei momenti caldi dell’emergenza nessuno di noi governatori si è opposto, anche se spesso non eravamo d’accordo col governo. Ma ora, nella Fase 2, è giusto che dalle nevi del Monte Bianco ai vitigni di Pantelleria, ogni Regione si assuma la responsabilità delle riaperture…” annuncia il Presidente. L’avesse fatto Fontana, l’avrebbero bombardato. Con Toti è diverso.

 

Toti Giovanni da Viareggio, classe ’68, ex giornalista ceduto in comodato alla politica, assieme ai colleghi Bonacini e Zaia, è il presidente che più risolutamente, invocando “l’autonomia che ci concede il titolo V° della Costituzione in sanità, commercio, ambiente…”, chiede la modifica dei Dpcm; e che pretende una ripartenza post contagio, dopo il 18 maggio, affidata ad ogni singola regione. D’altronde Toti, nonostante quell’aria paciosa da moroteo dei bei tempi, è stato uno dei primi ad aver messo tenacemente in sicurezza il proprio territorio. Ha quadruplicato nei suoi ospedali le terapie intensive da 50 a 210 (in proporzione più della Lombardia); ridotto i ricoveri da 1300 a 500; aumentato i reparti Covid (“anche se ora non ne abbiamo bisogno”) a 1300 posti letto; allestito una mitragliatrice di tamponi che solo al San Martino di Genova arrivano a 3000 al giorno (“Anche se il tampone, oggi, è uno strumento spurio di lotta politica”). Insomma, ha reagito al Coronavirus con la forza dei numeri e dei protocolli filtrati attraverso il buonsenso e una buona dose di “interpretazione estensiva” delle norme; tanto da riuscire a far fruttare al massimo quelle sulla manutenzione, per aiutare gli stabilimenti balneari e la nautica boccheggianti nella crisi. Le spiagge, per la Liguria, sono davvero il giudizio di Dio. Ma Toti non mostra dubbi sul fatto che l’estate sia il periodo giusto per ridimensionare il virus e riaccendere l’economia “prima anche di una possibile seconda ondata ad agosto. Le spiagge aperte non mi preoccupano, il droplet, le goccioline, si perdono nel vento caldo dell’estate e sulla sabbia il virus vive poco. Forniremo anche braccialetti che gentilmente vibreranno, avvertendoti che qualcuno sta violando la tua comfort zone. Altro che cabine di plexiglass attorno agli ombrelloni…”.

Detta così sembra facilissimo. Me la ricordo, la strategia del sussurro di Toti, sin da quando faceva il direttore a Mediaset. Tra un buffetto, una battuta, una smussata, l’uomo, paraculissimo, rendeva accettabili le sue decisioni anche per quei colleghi che -poco prima di soffocare nei suoi abbracci- ritenevano quelle stesse decisioni delle cazzate. Ecco, Toti ha usato quest’understatement implacabile anche con Conte. Mentre gli omologhi Zaia e soprattutto Fontana cozzavano ogni giorno contro il governo centrale, Toti, zitto zitto, si voltava dall’altra parte e spingeva la Liguria a risultati d’eccellenza: accordi per il test sierologico con ditte private per farlo a prezzo calmierato ai lavoratori delle aziende; salti a piè pari della burocrazia; concessione alle farmacie di vendere i farmaci salvavita che la Corte dei Conti gli aveva intimato di diffondere solo negli ospedali. Eppoi c’è stata la ricostruzione in tempo record del Ponte Morandi, ora indicata da tutti come “modello industriale”, ma su cui nessuno -nemmeno noi- avrebbe scommesso un euro bucato. “Il Ponte è stato solo l’apice di un sistema virtuoso che ha dato le case agli sfollati in meno di due anni, ha costruito la nuova strada per il porto in meno di due mesi, risarcito imprese e cittadini in meno di un anno grazie al governo dell’epoca. Bisogna che Regioni e Comuni abbiano gli affidamenti diretti per fare velocemente le infrastrutture come negli anni 60”, mi dice Toti, eludendo l’argomento spinosissimo del groviglio delle norme. E sganciando, col suo tono monocorde ai limiti dell’ipnotico, una prima bomba. Poi eccone una seconda: “Ora, la cosa assurda è che, dopo le elezioni politiche un governo centrale dirigista stia bloccando le elezioni di sindaci e governatori: una vera sospensione di un diritto democratico. Non capisco: la gente ha ripreso ad uscire, a lavorare, a pagare le tasse ma non può riprendere a votare…”. Le elezioni sono il suo prossimo bersaglio. In realtà, Toti è troppo scaltro per non sapere che i sondaggi, mentre calano per i leader di partito, stanno premiando in blocco tutti i presidenti di Regione più efficienti. Sicché non gli par vero di riuscire a sfruttare una campagna elettorale che s’accende in automatico sulle disfunzioni, gli annunci e i dilettantismi di Palazzo Chigi: “Il Covid ci ha resi schizofrenici. Da un lato ci indebitiamo tra redditi di cittadinanza e di urgenza. Dall’altro i 25mila euro di prestiti alle imprese e la cassa integrazione, e i 600 euro delle partite Iva arrivano alla spicciolata o continuano a slittare. E ci sono 35 milioni di opere pubbliche e di appalti sospesi che potrebbero far partire il Paese”, butta lì. Pausa. “Quando c’era il governo gialloverde Conte era diverso, abbiamo fatto molte cose”, aggiunge “ma adesso Conte subisce il peso della visione grillina complottarda e la prepotenza del Pd che è quello del codice degli appalti. I controlli servono ma devono essere giusti. Qui s’è attivata una macchina infernale nutrita dalla burocrazia”. Toti non dice nulla di nuovo, beninteso; ma spiega benissimo ciò che i liguri, estenuati, vogliono ascoltare. Cioè l’evocazione di un nuovo miracolo italiano in un momento in cui l’economia è attaccata al respiratore. Nei discorsi di Toti l’Italia resta un Paese ricco, con un debito sostenibile dalle famiglie; ma è pure il posto dove, causa l’emergenza, si sono sforati tutti i parametri deficit/Pil, debito/Pil allo scopo di ottenere i soldi per la ricostruzione; ma la presenza di quei soldi si limita soltanto, finora, “alle conferenze stampa del presidente Conte”. Ma, a differenza di Salvini a cui è tuttora assai legato Toti, nel suo empito, non è mai tranchant; lascia sempre una porta aperta al dialogo, all’abbocco, all’accomodamento. Afferma di rispettare scienziati e de epidemiologi ma li invita cortesemente a farsi da parte per lasciare il posto alla politica. Pur avendo lasciato Forza Italia per fondare il partito Cambiamo! (che non ha, onestamente, finora, la parvenza della forza storica), Toti ritiene sempre Berlusconi “una persona a cui voglio molto bene. Il figlio Piersilvio è cittadino ligure, con Confalonieri mi sento ogni giorno”. E il più filoleghista di tutti ma ammette che “se volessero rifare un polo moderato prendendo la lezione del Veneto e della Liguria, io ci sarò”. Come l’omonimo sommergibile, Toti sgancia i siluri, tira su il periscopio per osservare i danni al bersaglio, e poi si reimmerge per vedere l’effetto che fa…

 

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