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La Zoia del buon Bersanitentenna davanti ai pm

La segretaria del leader del Partito Democratico non fornisce spiegazioni esaurienti sull'incarico a Roma pagato dalla Regione. Partito in imbarazzo
di Andrea Tempestini domenica 28 ottobre 2012

Zoia Veronesi e Pierluigi Bersani

2' di lettura

  di Roberta Catania I pubblici ministeri di Bologna l’hanno tenuta «sotto torchio» per quattro ore. Alla fine hanno secretato il verbale di Zoia Veronesi, perché le «indagini sono ancora in corso», spiegano. Raccontano che la segretaria storica di Pier Luigi Bersani abbia «tentennato» di fronte a più di una domanda e che si sia trovata di fronte a qualche difficoltà nel provare a spiegare che cosa facesse per conto della Regione Emilia Romagna nell’anno e mezzo in cui era stata promossa e lasciata a Roma a seguire l’attuale leader del Partito democratico. Soprattutto perché sembra che l’unica documentazione in suo possesso fossero due autocertificazioni. Un po’ poco, a fronte di uno stipendio da 150mila euro per un anno e mezzo (rimborsi spese inclusi) e un’accusa di truffa aggravata cui rispondere.  La vicenda era esplosa nel 2010, in seguito a un esposto del deputato di Futuro e Libertà Enzo Raisi. Appena era arrivata la denuncia del parlamentare, Veronesi si era dimessa dalla Regione, per essere poi assunta direttamente dal Partito democratico.  La donna è da sempre l’ombra del segretario del Partito democratico. Quando era presidente di Regione e dopo, con il governo Prodi, che nel 2006 nominò il suo Pier ministro dello Sviluppo economico. Per quei due anni, fino al maggio 2008, la segretaria scelse la chiarezza: prese l’aspettativa dalla Regione Emilia e iniziò a percepire lo stipendio dal dicastero. Il problema di gestione si  verificò dopo, quando Bersani aveva scelto di rimanere nella Capitale nonostante la fine della legislatura. Fu così che a qualcuno venne l’idea di promuovere la Veronesi e affidarle la delega a «curare i rapporti col parlamento». Secondo quanto denunciato da Enzo Raisi nell’esposto, fu proprio questo lo stratagemma della Regione per far sì che Veronesi potesse rimanere a Roma a curare l’agenda di Bersani, ma a spese dei contribuenti emiliani.  A firmare il nuovo incarico della signora Zaia era stato l’allora capo di gabinetto del governatore Vasco Errani, Bruno Solaroli, 73 anni, che oggi non ci sta a essere indagato per abuso d’ufficio. Il documento che crea il ruolo di raccordo tra Regione e Parlamento è datato 27 maggio 2008. Tre giorni dopo, sempre grazie alla firma di Solaroli, l’incarico era stato dato a Veronesi. Il coindagato, ad ogni modo, tira in ballo anche la  giunta a rispondere di quella decisione. «Ho avuto una delibera di autorizzazione», continua a ripetere da qualche giorno.  In procura, a  Bologna, per ora non è in programma di sentire l’ex capo di gabinetto di Errani. Le quattro ore di ieri di fronte a Veronesi, assistita dall’avvocato Paolo Trombetti, «hanno fornito spunti utili per proseguire le indagini» ai magistrati, dicono a palazzo di giustizia. Del caso si sta occupando anche la Corte dei Conti, che ha avviato un’inchiesta parallela. Bersani si dice «sereno», un po’ meno dicono sia apparsa la segretaria. Ma gli stati d’animo contano poco, nelle prossime settimane arriverà un riscontro all’interrogatorio di ieri direttamente dalla procura.  

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