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Depistaggi, indirizzi falsi, spiate: il vertice carbonaro di Monti

di Andrea Tempestini domenica 30 dicembre 2012

Mario Monti

3' di lettura

  di Fabrizio Melis Esaurita la breve ma intensa fase De Gasperi, Mario Monti sale un gradino nella scala dell’autocertificazione da padre della patria inaugurando il periodo mazziniano. Nel senso di carbonaro, però. Perché va bene il riserbo, la sobrietà e tutto il resto, ma qui si rasenta l’entrata in clandestinità. La riunione di ieri tra premier e luogotenenti centristi, infatti, è stata tenuta in località segreta. Di certo c’è solo che si sono riuniti, e questo converrà farsi bastare. Il pronostico della vigilia dava per teatro dell’incontro la comunità di Sant’Egidio. Campo neutro (perché sede non istituzionale) ma non troppo (perché quartier generale del ministro-sherpa Andrea Riccardi), come cornice dava tutte le garanzie del caso: metteva il premier al riparo dalle critiche delle vestali - più o meno improvvisate - della Sacralità Delle Regole pronte a rinfacciargli l’utilizzo di Palazzo Chigi come centrale elettorale e al contempo consentiva agli assemblatori del centro montiano di giocare in casa. E invece, ciccia. Ad incontro appena iniziato, le agenzie battono il piccolo ma significativo cambio di programma. Niente Sant’Egidio, il summit sta avvenendo in una località protetta della quale nulla si sa e della quale nulla si deve sapere. Dopo quattro ore di black out informativo totale, sui teleschermi esce la notizia che l’incontro è finito. Su dove si sia tenuto, però, il mistero resta insondabile. In serata circoleranno svariate ipotesi (tra cui casa di Casini, convento di suore e residenza privata di un non meglio chiarito monsignore), destinate però a restare tali. Ora, nessuno pretende che discussioni sensibili come lo sono quelle sulle liste elettorali avvengano a porte aperte con diretta sui maxischermi. Solo, senza nulla togliere alle sacrosante esigenze di riservatezza che la circostanza comporta, indicare (a giornalisti ed addetti ai lavori, mica alle folle) uno straccio di portone davanti al quale prendersi quattro ore di freddo per poi provare a decrittare le facce di Casini e Passera all’uscita sarebbe stato quantomeno urbano. Si potrebbe persino azzardare che di un po’ di riserbo in meno avrebbe potuto trarre giovamento anche lo stesso Professore. Alla cui immagine tutto fa gioco fuorché quanto contribuisca ad ispessire quella coltre di segretezza ed impenetrabilità che il premier da sempre si porta appresso. Tanto per fare un esempio, le riunioni del Club Bilderberg cui il Professore viene spesso invitato (e sulle quali tanta speculazione viene fatta da quanti hanno interesse ad associare la figura del premier a consorterie men che limpide) un indirizzo ce l’hanno e, più in generale, rispetto alla riunione top secret di ieri paiono la reclame della cristallinità. Senza contare il fatto che un atteggiamento così reticente pare fare un po’ a pugni con l’afflato tutto trasparenza e irreprensibilità che il premier vuole dettare come criterio nella formazione della propria area politica. Da chi vorrebbe imporre ai propri candidati draconiana inequivocità quanto a dichiarazione dei redditi, stato patrimoniale, conflitti di interessi e similari, tutto è lecito aspettarsi tranne che si metta a depistare l’universo mondo per farsi i vertici politici fuori da ogni radar. A meno che, in ossequio alle immortali leggi che regolano  la politica da qualche secolo, anche dalle parti del Professore la trasparenza non abbia iniziato a valere tanto per gli altri e un po’ meno per se stessi.  

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