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Pd, "Giorni bugiardi": il libro che racconta la fine di Bersani e Prodi

Chiara Geloni e Stefano Di Traglia escono in libreria con "Giorni bugiardi" un manuale dei veleni sui giorni che affossarono Pier e riportarono Re Giorgio al Colle
di Ignazio Stagno domenica 10 novembre 2013

Bersani e D'Alema

2' di lettura

"Un complotto tra Massimo D'Alema e Matteo Renzi per togliere di mezzo Pier Luigi Bersani". In queste poche parole c'è tutto il Partito democratico ferito con un segretario sempre più solo di quel marzo 2013 in cui i dem dopo il voto cervanao disperatamente di mettere in piedi un governo con i grillini. Trattative frenetiche per formare un governo ed eleggere il presidente della Repubblica. Questi ed altri retroscena emergono da Giorni bugiardi, il nuovo libro scritto da Stefano Di Traglia e Chiara Geloni. Al centro del libro ci sono i mesi decisivi tra le primarie dell’autunno 2012 e la nascita del governo Letta che avrebbe detto in quei giorni ai suoi: "Sono stato a Pisa dai miei la scorsa settimana, mia madre mi ha detto: 'Fate di tutto ma il governo con Berlusconi no". Poi arriva il capitolo sul Quirinale e la rielezione di Giorgio Napolitano. In quella corsa verso il Colle non entrò D'Alema ("nessuno lo propone mai, nessuno pronuncia il suo nome") ma l'ex premier è sospettato di essersi accordato con Matteo Renzi per "togliere di mezzo Bersani", affossando Romano Prodi, anche se Di Traglia e Geloni ammettono di non averne le prove. "I franchi tiratori" - È convinzione comune di chi conosce la composizione dei gruppi parlamentari che in nessun modo sia possibile raggiungere la cifra di 101 o più grandi elettori dissenzienti, senza includere nel conteggio i 41 renziani che alla prima votazione avevano rifiutato di votare Marini e avevano scelto (dichiarandolo pubblicamente) Sergio Chiamparino", hanno scritto. Poi si arriva anche alle profezie di D'Alema su Bersani: "Arriverai terzo alle primarie". E invece Pier arrivò primo. D’Alema, nel frattempo, premeva su Bersani perché i grandi elettori del centrosinistra decidessero in una sorta di primarie la candidatura comune al Quirinale. Bersani gli rispose: va bene, "ma io dico per chi voto", cioè per Prodi. Allora, si chiedono gli autori, "perché i dalemiani non chiesero il voto segreto nell’assemblea che acclamò Prodi? Perché alzarono la mano a favore di Prodi quando Bersani chiese che ci fosse almeno un voto palese?". Già perchè...? Ancora una volta l’unanimità si rivelò una trappola per il segretario.  

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