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Facci: Grillo ha fatto casino e ha vinto. Ora gli serve un'idea

I 5 Stelle hanno prosciugato la sinistra ed è il primo partito d'Italia. Ma ora che è in Parlamento l'antipolitica non basta
di Giulio Bucchi giovedì 28 febbraio 2013

4' di lettura

  di Filippo Facci Il movimento Cinque Stelle è il primo partito d’Italia e l’analisi potrebbe chiudersi qui: il suo successo d’esordio è superiore anche a quello di Forza Italia del 1994. Qualcuno pensava che avrebbe sfondato anche di più, se non altro perché - in questo Grillo ha sbagliato - parte dei suoi avversari sono tutt’altro che morti. A esserlo, semmai, sono i suoi possibili alleati o perlomeno quella Rivoluzione Civile che li assemblava: non saranno in Parlamento Antonio Ingroia e Antonio Di Pietro, e si tratta di capire se per Grillo sarebbero stati una risorsa o un problema.  Se l’obiettivo di Grillo era il casino, l’obiettivo è pienamente raggiunto. L’ingovernabilità è sostanziale come è ben spiegato altrove. Il risultato permette di cantare il de profundis per la destra e per la sinistra ma nella consapevolezza che nessun altro è deputato a governare. Trovare dei presidenti per Camera e Senato sarà da pazzi, mentre trovare un neo presidente della Repubblica sarà addirittura un’impresa: Grillo, a meno che rinsavisca, accetterebbe candidature tipo da Dario Fo in giù, una come Emma Bonino è giudicata troppo compromessa. L’ex comico non pare personaggio da «atti di responsabilità» (non ne ha convenienza) anche perché non è abituato a interloquire con nessuno. Collaborare con altri partiti per cambiare la legge elettorale? Agli occhi del suo elettorato sarebbe una contaminazione. Tornare a votare? È quanto è accaduto in Grecia, laddove il voto di protesta tuttavia non è riuscito a bissare il risultato delle prime elezioni. Non è detto, cioè, che Grillo da nuove elezioni abbia da guadagnare. Il voto a Grillo era di protesta e di protesta rimane, o se si preferisce «antipolitico». Una prima e spannometrica analisi dei flussi fa già intuire che i Cinque Stelle hanno preso voti soprattutto a sinistra - contro ogni pronostico - ed è semplicemente impensabile che merito ne sia il «programma» del Movimento, da più giudicato abborracciato o e inesistente. Nonostante Grillo sia in pista ormai da sette anni,  i suoi temi elettorali mandati ripetutamente in onda dai talkshow - azzeramento della casta, destrutturazione istituzionale e burocratica, no tasse, no banche, no Europa - restano dei temi anti-sistema e appaiono protèsi non tanto al «fare» ma al suo «arrendetevi» e al suo Parlamento da «aprire come una scatoletta di tonno». Il sostegno di Pd e Pdl al governo Monti ha probabilmente lasciato il segno. Se la manifestazione di San Giovanni ha evidenziato qualcosa, inoltre, è il quanto vi pullulassero le bandiere dell’antimilitarismo, dei No tav, dei radicalismi da centri sociali, insomma un patrimonio che fu della sinistra (estrema, ma sinistra) e che pare essere confluito assai più nei Cinque Stelle che nella mancata Rivoluzione di Ingroia. Gli astenuti sono comunque aumentati e in buona parte sono voti specificamente persi (o non guadagnati) proprio da Grillo, che li ha sempre avuti come obiettivo: sin dalle politiche scorse (2008) Grillo invitò pubblicamente all’astensione quando invece ci fu una delle affluenze più alte degli ultimi anni. Ora il ciclo ha ricominciato a invertirsi: in un ciclo elettorale e mezzo il Paese ha perso l’8 per cento dei votanti (3 milioni di voti sulla massa complessiva) e la soglia si è abbassata notevolmente per tutti i partiti al di là delle percentuali.  Ecco perché il vero dato impressionante di alcune regioni - a proposito di protesta e disaffezione al voto - è quello di regioni come la Sicilia in cui al successo di Grillo va sommata un’astensione da paura.  Ora che il Cinque Stelle è il primo partito d’Italia (un partito che non ha neppure una sede fisica) c’è da sperare che la classe giornalistica la smetta di pubblicizzare il suo «segretario» come non è mai accaduto per nessuno in tutta la storia d’Italia. In tal senso, lo «stratega di comunicazione» non è mai stato Grillo bensì i giornalisti che ne hanno mandato in onda i comizi per ore e ore. Senza questa rendita di posizione, peraltro spacciata per autonomia internettiana, il voto dato a Cinque Stelle - soprattutto quello confluito da altri partiti - sarebbe stato sensibilmente inferiore. Hanno fatto tutto i giornalisti, peraltro insultati di continuo o respinti coi Carabinieri.  Ora però è difficilissimo che Grillo non si dia una regolata e una forma. I suoi eletti sono dilettanti allo sbaraglio in perenne subbuglio da assemblea studentesca, protagonisti di un movimento che non è neppure un movimento: è un magma, una colata che ha terrore di solidificarsi. Non è un partito carismatico: i partiti, o movimenti, hanno idee, strutture, gerarchie minime, un’organizzazione del consenso. Qui abbiamo un capo di Stato maggiore (col suo improbabile e riccioluto consigliori) e sotto, infinitamente sotto, una truppa proletaria di individui con i quali lui non parla neanche, e che, in assenza di cultura politica, formicolano eccitati come scolari che hanno occupato la scuola. Anche Berlusconi creò un partito in tre mesi: ma sul proscenio c’erano, perlomeno, personaggi più che navigati per buona selezione o per abile riciclo: per un po’ bastò. Nel caso di Grillo invece non c’è ancora un vero disegno, un’idea precisa, una vera «intelligence» dietro ogni mossa o frase pronunciata: è tutto un po’ così, estemporaneo. L’antipolitica, di questi tempi, può rendere da morire: ma ora Grillo è in Parlamento e certi giochini sono finiti. Berlusconi, appena giunto a Palazzo Chigi, disse che non trovava il volante. Grillo, per aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, deve perlomeno inventarsi un apriscatole.    

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