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Guerra fratricida con Storace per vincere il titolo di "miglior perdente"

La sfida tra gli ex An per entrare alla camera: quattro liste e pochissimi posti in aula
di Andrea Tempestini domenica 24 febbraio 2013

Meloni e Storace

2' di lettura

di Salvatore Dama La parabola degli ex An conoscerà un epilogo importante lunedì, con le urne chiuse. Quella che fu Alleanza nazionale, alle elezioni politiche di febbraio 2013, si presenta smembrato in quattro liste. C’è la parte che ha deciso di rimanere nel Popolo della libertà (vedendo tuttavia restringere dal 30 al 10 per cento la propria quota nel partito); ci sono i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, Guido Crosetto (unico non ex) e Ignazio La Russa; c’è la Destra di Francesco Storace, il primo a sbattere la porta e ad andarsene; c’è Futuro e libertà di Gianfranco Fini. Fli è forse il caso più disperato. Perché deve sperare non solo che la coalizione del professor Mario Monti superi il 10 per cento, ma anche che l’Udc vada oltre il 4. Precondizioni fondamentali  perché il presidente della Camera e qualche fedelissimo possano tornare a sedere a Montecitorio.   Fratelli d’Italia e la Destra non se la passano molto meglio. Tra loro è in atto un sfida fratricida. Se entrambi i partiti non dovessero superare la soglia di sbarramento del 4 (come segnalavano i sondaggi prima del blocco alla loro pubblicazione) solo uno dei due, il miglior perdente, troverebbe posto nei banchi nel centrodestra nella prossima Legislatura.  Se Francesco Storace ha avuto la sua visibilità in quanto candidato alla Regione Lazio, è stata una campagna difficile per Fratelli d’Italia. Troppo spesso costretti nel cono d’ombra berlusconiano, i Meloni boys non hanno sfondato. E, a causa di un Cavaliere debordante, non sono riusciti a ritagliare il ruolo che avevano immaginato per se stessi: la destra del centrodestra. Quella da votare «senza doversi turare il naso». Si sono visti scippare l’idea della restituzione dell’Imu dall’ex premier (l’avevano detta prima loro), si sono fatti scavalcare a destra dall’uomo di Arcore sul giudizio storico a proposito di Benito Mussolini e hanno strappato qualche riga sui giornali soltanto attaccando l’alleato. Quando Giorgia Meloni ha detto di essersi vergognata di stare nello stesso governo e nello stesso partito di vari esponenti del Pdl. O nel caso di alcune gaffe, come quella omofoba dei dirigenti veneti di Fratelli d’Italia.  Insomma, non il massimo della vita. Reduce da una campagna elettorale di retroguardia, va detto però che FdI  dispone di una rete di dirigenti capillare e agguerrita, quella della ex Alleanza nazionale. Più nel dettaglio, quella che faceva capo alla corrente larussian-gasparriana. Almeno la parte che non ha deciso di rimanere nel Pdl. E deve sperare che basti quella come cinghia di trasmissione. Ma una ramificazione territoriale è la peculiarità anche della Destra, nata dalle ceneri della corrente sociale di Storace, che una volta faceva fronte comune con l’attuale sindaco di Roma Gianni Alemanno (il quale a sua volta è rimasto nel Pdl). Un puzzle. Una sfida nella sfida.

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