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Filippo Facci: "Basta non se ne può più. Smettiamola col terrorismo sul virus"

di Marco Rossi sabato 29 febbraio 2020

4' di lettura

Pare che il miglior virologo resti il buonsenso, introvabile più delle varie amuchine e mascherine che ormai servono solo a riconoscere i più sprovveduti, panicati, anche un filo ignoranti, tuttavia tutti innocenti e scusabili: perché il problema non è che la gente non abbia letto i giornali o non abbia ascoltato gli esperti, o addirittura non abbia ascoltato il governo: il problema è che l' ha fatto, ci ha provato, e il risultato è stato il caos. Troppa informazione, nessuna informazione. Così adesso stiamo diventando tutti «minimizzatori» quando una settimana fa i minimizzatori sembravano tutti incoscienti o malinformati. Perché, grazie al buonsenso e a i pochi fatti certi (che ci sono) ci siamo accorti che non ci sono veri morti per coronavirus, ma solo morti «con» coronavirus che erano giù malmessi di loro, tipicamente anziani e già in ospedale: il che non significa scoprire che il coronavirus colpisce soprattutto gli anziani, ma che, in assoluto, qualsiasi malattia esantematica è più grave tantopiù negli anziani, com' è normalissimo nei mammiferi. Nel 2011, mio figlio di tre anni prese la varicella e guarì in pochi giorni. Poi l' attaccò a me, e io finii in ospedale nel reparto infettivi con la mascherina dell' ossigeno. La mortalità del coronavirus, da 0 a 10 anni, è zero. Dai dieci ai 29 anni è 0,2. A salire. Sono «death reate» che valgono per il morbillo e per la comune influenza stagionale e per tutte le malattie che abbiamo il pregio di conoscere, e la differenza è tutta qui: il coronavirus non lo conoscevamo. Ma già sapevamo - ed è questo che i virologi dovevano spiegare, anziché fare i fenomeni - che il coronavirus ha perlopiù contribuito all' indebolimento di organismi, o allo sviluppo di altre patologie, oppure all' aggravarsi di patologie già esistenti: è persino possibile che i «morti per coronavirus», quelli che censiamo ogni giorno, sarebbero morti comunque e con la stessa tempistica: anche se il coronavirus non l' avessero preso. Il coronavirus non lo conoscevamo, si diceva: e la nostra epoca non è più predisposta all' ignoto. La banale verità è che neppure esperti e infettivologi di conseguenza ne sapevano nulla, e il metterli in contrapposizione tra loro è stato patetico anche perché qualcuno di loro si è prestato al gioco. L' ignoto fa paura - il noto no, tipo l' influenza o il morbillo, che fanno molti più morti - e allora che si fa, di fronte all' ignoto? È giusto muoversi con i piedi di piombo, ovvio, ma bisogna saperlo fare, e infatti è stato proprio lo scomposto balletto governativo e mediatico a scatenare il panico: si è passati da una palese sottovalutazione a un terrorismo di Stato che si è tradotto nei supermercati svuotati e nelle decisioni a grappolo che hanno fermato qualsiasi luogo di aggregazione, peraltro con comiche contraddizioni. L' unico Paese paragonabile al nostro, per reazioni, è la Cina, dove però il focolaio è divampato per primo e dove i morti sono migliaia. Nessun importante giornale tedesco, francese, inglese o spagnolo ha messo la questione del virus nelle prime pagine. Da noi, invece, la gente comune, non per forza stupida, ha detto: se d' un tratto fanno così, se prendono decisioni così drastiche dall' oggi al domani, accidenti, ma allora è grave davvero, e forse non ci stanno neanche dicendo tutto. La morale è che il coronavirus non ha fatto grandissimi danni, ma la paura del coronavirus sì. Potesse far causa a se stesso, lo Stato dovrebbe incriminarsi per procurato allarme, articolo 658 del Codice penale. È bastata una settimana non tanto per conoscere il virus, ma per fare una serie di errori passando da eccessi minimizzatori a eccessi allarmistici: così il virus è diventato sicuramente economico, con le scuole chiuse con l' imbarazzo di doverle riaprire, le socialità interrotte (anche se parlare del coronavirus è diventato un aggregante formidabile) e su tutto i gravissimi errori del governo, che è passato da un pilatesco lavarsene le mani a lavarsele nell' amuchina tutto il giorno, questo dopo aver ignorato - l' ingenuità più grottesca - che oltre ai voli diretti esistono i voli con scalo: da qui uno sputtanamento internazionale come non accadeva da quando il mal francese (la sifilide, che i francesi chiamavano mal napoletano) invase il Sud. Così il Norditalia è stato esageratamente serrato nonostante si stia parlando della locomotiva del Paese. In queste ore vari governanti locali e nazionali stanno decidendo se e che cosa riaprire e riavviare: il timore è che possano farlo non in base alla situazione oggettiva, ma - essendo politici, detto in senso deteriore - possano farlo sulla base della paura della gente, paura che in buona parte hanno creato loro. Gente che però è anche stufa: più della paura potè la noia e il bisogno non tanto dell' aperitivo, ma di lavorare. I primi segnali sono incoraggianti: mentre scriviamo, si parla di riaprire questo e quello, a Milano ormai si parla di riaprire pure le tombe del Monumentale e il sindaco ha realizzato uno spot che sembra quello Ramazzotti «Milano da bere» versione apericena. Per il resto, l' unico virus davvero inarrestabile pare quello che dovrebbe ammazzare quell' organismo debole e debilitato che si chiama governo, su cui gravano - speriamo bene - infezioni anticipate. di Filippo Facci

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