Il Pd non si spacca sull'articolo 18, ma i conti saranno regolati in Parlamento, con tutto quello che ne consegue in termini di rischio per il governo. Alla direzione democratica vince il premier Matteo Renzi (nel suo discorso ha sfidato tutti, dalla sinistra ai sindacato fino ai "poteri forti"), dopo ore di aspri scontri (Massimo D'Alema e Pierluigi Bersani i più duri, mentre Gianni Cuperlo vince la palma di più ironico) e di trattative frenetiche con giovani turchi e ala dura del partito: sul Jobs Act passa la linea dell'esecutivo, non senza critiche e col voto contrario di una parte importante della cosiddetta minoranza. Favorevoli 130, 11 astenuti, 20 contrari. La minoranza si divide (così come i sindacati Cgil, Cisl e Uil), il premier tira un parziale sospiro di sollievo. I quattro punti di Renzi - E' stato il responsabile economico del Pd Filippo Taddei ad illustrare, intorno alle 22, il documento del governo sulla riforma del lavoro. "Estendere i diritti a chi ora non ne gode e introdurre più mobilità per migliorare reddito e prospettive", è questo l'obiettivo di Renzi. Per ottenerlo, si deve passare da quattro punti cruciali: rete più estesa di ammortizzatori sociali, riduzione delle formule contrattuali e superamento dei co.co.pro, servizi per l'impiego di "interesse nazionale" e non più legati a "consorterie territoriali". E, ultimo punto e più importante: via l'articolo 18 come lo conosciamo dalla riforma Fornero, indennizzo economico per i licenziamenti (crescente in base all'anzianità) e reintegro solo per i licenziamenti discriminatori oppure ingiustificati a livello disciplinare. Le proteste delle minoranze - Prima della votazione per alzata di mano, tre esponenti della minoranza hanno preso la parola. Per primo Davide Zoggia, che ha chiesto il voto separato sul quarto punto ma il presidente Matteo Orfini ha respinto: "Questo documento è il frutto dell'accordo di questa direzione". Più duro Alfredo D'Attorre, che ha annunciato voto contrario sull'articolo 18, "ma non è voto contrario al governo". Il capogruppo a Montecitorio Roberto Speranza ha invece incarnato l'ala più trattativista della minoranza: "I gruppi parlamentari sono autonomi rispetto al governo, ma abbiamo fatto un passo avanti". Uscendo da via Sant'Andrea alle Fratte, molti parlamentari dem più apertamente anti-riforma hanno glissato: "Non si è spaccata la minoranza, ma si è ricompattato il Pd". Il duro Felice Casson ha però annunciato battaglia: "Se ne riparlerà al Senato e alla Camera". E l'ex ministro Cesare Damiano è ancor più chiaro: "Passo avanti sul reintegro per i licenziamenti di natura disciplinare ma non basta. Non si parla di quelli economici. E ora in Aula ci sono i nostri emendamenti...". di Claudio Brigliadori @piadinamilanese