Lui il 27 marzo del 1994 c’era. E ci mancherebbe: aveva lavorato mesi affinché si arrivasse a quel risultato storico, che ha cambiato faccia all’Italia. "L’unico a credere veramente che avremmo vinto le elezioni era Silvio Berlusconi", ammette venti anni esatti dopo Marcello Dell’Utri. "E nonostante Forza Italia fosse diventato dal nulla il primo partito, sembrava pure piuttosto insoddisfatto". Le storie di Dell’Utri e del Cavaliere, uno nato in Sicilia, l’altro in Brianza, si sono incrociate quando entrambi erano poco più che ragazzi, all’Università Statale di Milano. Da quel giorno "Marcello" è sempre ascoltatissimo, prima come manager del gruppo Fininvest, poi come deputato, eurodeputato e senatore di Forza Italia. Senatore Dell’Utri, sono passati venti anni esatti. Che si ricorda di quel giorno, del trionfo che ha imposto il Cavaliere alla politica italiana? "Ero a Roma e mi ricordo soprattutto tanta sorpresa". Sorpresa nel senso che non vi aspettavate di riuscire a farcela? "La verità è che l’unico sicuro che l’operazione sarebbe stata un successo era Berlusconi. Lui era convinto e ottimista". Lei no, s’intuisce. "Tutti noi collaboratori eravamo piuttosto incerti, non ci avremmo messo la mano sul fuoco". Che altro ricorda dei momenti successivi all’esito elettorale? "Berlusconi in un primo momento sembrava pure un po’ deluso: 'Non é possibile, così poco?', continuava a chiedere". Ma come: in tre mesi avevate creato un partito da 21% dei voti! "Eggià. Era deluso pur avendo vinto e in quella maniera". Quale è stato il segreto di quell’operazione politica? Ora ce lo può dire. "Noi abbiamo rappresentato la vera antipolitica. Fu il presidente a decidere di non candidare nessun politico, di rompere col passato: fu una scelta vincente. Forza Italia lanciò un messaggio di speranza, si presentò come una politica nuova, diversa". Ora l’antipolitica la fa Beppe Grillo e viene considerata un pericolo. "Quella di Beppe Grillo è una forma greve di antipolitica. La nostra era antipolitica vera, diversa". La Forza Italia-antipolitica da quel giorno è diventata essa stessa parte della politica: ha governato per gran parte del ventennio. Era una mutazione evitabile? "Quando si prende il potere si cambia, è inevitabile. E questo è quanto accaduto a Forza Italia dopo quel ’94. Una cosa è aspirare al potere, un’altra è averlo". Il potere corrompe? "Ciascuno di noi, e di conseguenza pure un partito politico, si deve uniformare al mondo circostante, all’ambiente entro al quale si muove. La rivoluzione è diventata evoluzione". Una evoluzione che, pare di capire, non la convince molto. "Ci fossero stati strumenti diversi, magari la Rete come oggi, le cose sarebbero potute andare diversamente. Ma non è accaduto". FI vinse promettendo la “rivoluzione liberale”, un concetto che conquistò milioni di elettori, che ancora oggi riechieggia nei discorsi di molti azzurri... Sinceramente, dopo venti anni, pensa che ci sia stata la “rivoluzione liberale”? "La rivoluzione liberale non c’è stata. Non è stato possibile farla, almeno in Italia". Detta così, sembrerebbe la certificazione del fallimento di un progetto. "Tutt’altro, quel giorno del 1994 è accaduto un fatto straordinario: si è arrestata l’avanzata del Partito comunista". Era il Pds, la “gioiosa macchina da guerra”. "No no, all’epoca era il Partito comunista tout court, aveva cambiato giusto il nome". Venti anni dopo il ’94, il Cavaliere ha rottamato il Popolo delle libertà ed è tornato a Forza Italia. È un ritorno al passato che la convince? "Penso che sia stata una decisione inevitabile, che si sia trovato costretto a farlo. Certamente è stato un ritorno al passato, ma non c’era altro da fare. Ora deve rilanciare Forza Italia". In che modo il presidente può rilanciare il suo partito? Vede all’orizzonte nuovi successi? "È difficile farlo in questo momento. Purtroppo il partito è anche strutturato in modo da far non far prevedere grandi slanci...". Come si immagina il futuro del centrodestra? Chi saranno gli eredi del Cavaliere? I figli o qualcun altro? "Il futuro del centrodestra è indissolubilmente legato alla persona di Silvio Berlusconi. È lui il partito, è lui la dinamo, è lui l’elemento trainante. Per questa ragione penso che tutto sia fermo, sospeso, in attesa di conoscere quale sarà la situazione personale del presidente di qui qualche tempo". Vede in giro l’erede del presidente? Non è una colpa del Cavaliere quella di non essere riuscito a costruire una classe dirigente in grado di sopravvivere alle sue vicissitudini giudiziarie? "Probabilmente non c’è stato il modo e il tempo necessario per preparare un classe dirigente. In effetti ci troviamo in una situazione bloccata, con molte personalità di buon livello, ma nessuna che, a mio avviso, può essere l’erede. È mancato il modo e il tempo...". Lei è da sempre un consigliere ascoltatissimo: avrà dato qualche suggerimento al presidente su come uscire dall’empasse, no? "No. Non ha bisogno dei miei suggerimenti". Torniamo agli esordi. Con lei c’erano intellettuali finissimi come Giuliano Urbani, Giuliano Ferrara, Antonio Martino e così via: vi sentite ancora? Che dite? "Ho intrattenuto rapporti con quasi tutti, tutti stimabilissimi. Ma ormai non ci sono più: fanno parte della storia. Anche io, del resto, faccio parte della storia". di Paolo Emilio Russo