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Giorgio Napolitano, pranzo con Piero Fassino: perché lo vuole al Quirinale

di Andrea Tempestini domenica 14 dicembre 2014

3' di lettura

«Alla presidenza della Repubblica non ci si candida. Si viene eletti». Da che si è aperta la riffa del toto-Quirinale, Piero Fassino va ripetendo il mantra a destra e a manca: in una lotteria dove - e sì che all’apertura dei giochi mancano ancora mesi - si è già iniziato ad impallinare candidati a ritmo più che sostenuto, tenere il proprio nome al riparo dalle fiamme è più di una necessità. Basso profilo, però, non significa non crederci. E il sindaco di Torino, all’idea di finire sul Colle più alto, ci crede ancora parecchio. Soprattutto, ci crede quello che pare essere diventato il suo nuovo sponsor. E che sponsor: Giorgio Napolitano in persona. Che l’attuale inquilino del Colle voglia dire la propria in merito alla successione è d’altronde cosa nota, così come lo è che la prima scelta di Napolitano - quel Giuliano Amato il cui gradimento dalle parti di Matteo Renzi non decolla - si ritrovi con le quotazioni in ribasso. Da cui la necessità per il capo dello Stato di sfoderare il piano B. E il piano B porta dritto a Palazzo Civico. Il cui inquilino vanta da tempo un rapporto privilegiato con Napolitano ed il cui momentum sembra in ulteriore ascesa. A sancire il tutto, il pranzo che ha visto i due commensali due giorni fa a Torino, in occasione del vertice italo-tedesco tenutosi nel capoluogo piemontese. Occasione che il presidente della Repubblica avrebbe addirittura tramutato in una sorta di passaggio di consegne all’erede designato. Fassino al Colle dopo Napolitano: vi piace l'idea? Vota il sondaggio di Liberoquotidiano.it Se la spinta di Napolitano ne sancirà l’ingresso ufficiale nella corsa per il Quirinale lo si vedrà nelle prossime settimane. Quello che è certo è che di carte da giocare il sindaco del capoluogo piemontese ne ha. La principale si chiama Matteo Renzi: Fassino, tra i leader di area ex comunista a passare armi e bagagli dalla parte del Rottamatore. Insieme all’altro nome eccellente della sinistra torinese Sergio Chiamparino (non a caso altro papabile), l’ex segretario dei Democratici di sinistra ha allineato il partito piemontese su Renzi in tempi in cui, sul carro dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi, c’era ancora un sacco di posto. E i quarti di renzianità non sono l’unico asset su cui Fassino può fare affidamento: all’arco del sindaco di Torino ci sono anche le frecce dei buoni rapporti internazionali maturati negli anni da ministero del Commercio estero e da responsabile Esteri del partito. Alla voce Europa, il sindaco di Torino vanta il più privilegiato dei rapporti con l’Alto rappresentante della politica estera Federica Mogherini («La considero come una figlia») ed una fitta rete di contatti all’interno del Pse. Sul versante interno, la presidenza dell’Anci ricoperta dal giugno 2013 garantisce saldi collegamenti col sistema degli enti locali. Altro atout è quello relativo all’età, non più verdissima (Fassino è classe ’49) ma significativamente al di sotto di quella del quirinabile medio. A rendere ulteriormente interessante la faccenda, soccorre la constatazione di come il nome di Fassino risulti, tra quelli pescabili in mazzo post-comunista, tra i meno sgraditi dalle parti di Arcore. Nonostante qualche ruvidezza nel passato (schermaglie preliminari ai tempi di Telekom Serbia e conflitto vero e proprio a seguito della pubblicazione sul Giornale della famosa intercettazione dell’«allora, abbiamo una banca»), i rapporti con Berlusconi sembrano essere virati verso il sereno: Fassino ha elogiato pubblicamente il patto del Nazareno e non fa mistero di avere instaurato negli anni un buon rapporto col Cavaliere. Certo, ufficialmente resta il veto dell’ex premier (ribadito nella recente intervista al Corriere) verso gli esponenti del partito del premier. Ma quella per il Quirinale non è una partita che si possa impiccare ad una parola sui giornali. Se Renzi dovesse decidere per Fassino, un modo per intavolare la trattativa con Berlusconi lo si troverebbe. Magari acconsentendo ad un ticket in grado di riequilibrare le cose a destra, indicando Gianni Letta come segretario generale del Quirinale. di Marco Gorra

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