Silvio Berlusconi, pressing per le nomine nelle aziende pubbliche

di Matteo Legnanidomenica 16 marzo 2014
Silvio Berlusconi, pressing per le nomine nelle aziende pubbliche
3' di lettura

«Lo so benissimo che non è la legge elettorale che volevamo, ma dobbiamo difendere l’Italicum al Senato anche se a tanti dei nostri fa schifo». Tornato a Roma da Arcore ieri, con un giorno di ritardo rispetto alla sua solita road map settimanale, Silvio Berlusconi ha chiamato a raccolta a pranzo a palazzo Grazioli tutto il suo stato maggiore: Denis Verdini; i capigruppo e i vicepresidenti di Camera e Senato Renato Brunetta, Paolo Romani, Simone Baldelli, Maurizio Gasparri; il suo consigliere Giovanni Toti e Daniele Capezzone. Dopo aver brindato con i suoi maggiorenti a quella che il Cavaliere considera «una nostra vittoria», il via libera appena ottenuto dall’Italicum alla Camera («visto? che vi avevo detto? ci si può fidare di Renzi, ha fatto rispettare il nostro patto nel suo partito»), Berlusconi ha voluto dettare subito la linea di Forza Italia da tenere a Palazzo Madama, dove intende serrare i ranghi perché i numeri sono molto più risicati. Ma questo è un punto di forza per il Cav, perché sa che il segretario del Pd dipende ancora di più dai forzisti nella Camera Alta dove, senza i 31 senatori del Ncd, non c’è più la maggioranza. Quindi il varo dell’Italicum, delle riforme, cui Renzi ha legato il suo destino di premier, e la tenuta stessa del governo sono appesi ai voti forzisti. Ed è proprio al soccorso azzurro che Berlusconi ha spronato i suoi: «Dimostriamo a Renzi che anche al Senato noi di Fi siamo più affidabili della sua maggioranza e dei suoi stessi parlamentari». Non che lui si fidi del premier. Anzi. Per questo il suo obiettivo è: «Blindare il testo della Camera». Difendendolo anche da eventuali cedimenti del segretario dem al suo partito. E se il voto palese al Senato rappresenta una garanzia per il Cav, è anche una lama a doppio taglio, perché impedisce accordi trasversali da stringere nel segreto dello scranno, come quello che ha consentito all’asse Pd-Fi di bocciare le quote rosa a Montecitorio. L’ex premier sa bene che il Senato non lascerà l’Italicum intonso. Ma ha fatto appello ai suoi perché, pur lasciando spazio a modifiche marginali, l’impianto dell’Italicum non venga stravolto. A tal proposito, ha fatto riferimento alle quote rosa, che il Cav ha raccomandato ai senatori di trattare «con le pinze, perché è un tema popolare. L’importante», ha puntualizzato, «è non mettere a repentaglio la legge elettorale». Questa resta la prima priorità per Berlusconi. La seconda è: «Non tollereremo perdite di tempo». Nel vertice a Grazioli è stata messa a tema anche «la scaletta delle priorità» da impostare sulle quattro questioni chiave: legge elettorale, abolizione del Senato, riforma del Titolo V e delle province. Il Cav sa che Renzi ha voluto procrastinare l’approdo dell’Italicum a Palazzo Madama perché vuole prima incardinare la riforma del Senato. Ma, essendo una riforma costituzionale, richiederà più tempo di quella elettorale che invece Berlusconi vorrebbe far viaggiare su un binario separato. Quindi «la scaletta» andrà negoziata con Renzi, che sarà tirato per la giacchetta anche da Alfano, intenzionato invece a dilatare i tempi. Altra questione clou che andrà negoziata col leader Pd, di cui si è discusso molto ieri a pranzo, sono le nomine delle società partecipate: Eni, Enav, Enel, Finmeccanica, Poste… Nella cerchia berlusconiana l’orientamento è di non far uscire di scena né Fulvio Conti (Enel) né Paolo Scaroni (Eni), ma su questo avrebbero già ottenuto garanzie da Renzi, che è in buoni rapporti almeno con Scaroni. Sul tavolo di Grazioli è finito anche il dossier Europee. Berlusconi è tentatissimo di candidarsi sfidando i giudici di ogni ordine e grado. In primis la Cassazione, che il 18 marzo si pronuncerà in via definitiva sull’interdizione del Cav, e il Tribunale di sorveglianza, che il 10 aprile deciderà se affidarlo ai servizi sociali o ai domiciliari. Chiodo fisso di Berlusconi, che anche ieri ha squadernato il suo cahier de doléances: «Possibile che io che ho cambiato la storia dell’Italia, che sono stato il benefattore di questo Paese, debba essere appeso alla decisione dei giudici per poi dover andare a colloquio dagli assistenti sociali?». Prima del 10 aprile dovrà necessariamente essere varato l’ufficio di presidenza, che è già tutto disegnato. Ci saranno di sicuro i capigruppo, Verdini, Toti, Gasparri, Bondi, Maria Rosaria Rossi, Daniela Santanchè... E, a quanto pare, anche Raffaele Fitto. Più ballerina la candidatura dell’ex governatore pugliese alle Europee, sulle quali il gotha forzista ieri ha preso una decisione: fuori dalle liste chi è già in Parlamento. E Fitto, oggi, è deputato. di Barbara Romano