Corradino Mineo: è sempre al centro del dibattito politico dopo che è stato espulso dalla Commissione Affari Costituzionali. Una scelta che ha spaccato il Pd (che domani 14 giugno si riunirà nella direzione del partito) tra chi sta con Renzi come Matteo Orfini e chi invece sta con l'ex direttore di Rainews come Felice Casson. Pure Lucia Annunziata ha attaccato pesantemente il premier accusandolo di utilizzare "metodi fascisti". Oggi è tornato a parlare Mineo alla trasmissione Agorà su Rai3: "Noi siamo senatori che non siamo nella disponibilità di una trattativa della vecchia politica e che poniamo una questione costituzionale: andavamo trattati con rispetto". E ancora: "A me il Pd di Renzi piace di più del Pd prima di Renzi, perché penso che Renzi faccia politica con la complessità della politica stessa e che sia una risorsa per il Paese e per l’Europa. Alle Europee l’ho votato anch’io con assoluta convinzione, e quindi faccio parte anch’io del 40,8% dei suoi elettori. "Il problema - ha proseguito il senatore democratico - è che c’è una nuova politica che è più vecchia della vecchia la quale tira giù Renzi: lui non può fare tutto, però forse dovrebbe ascoltare di più il Parlamento e non fare colpi di mano come l’imposizione del disegno di legge Boschi sulla riforma del Senato" L'avvertimento del capogruppo - Luigi Zanda , capo gruppo Pd a a Palazzo Madama non risponde a Corradino Mineo, ma lancia un allarme: le divisioni in passato sono costate care al Pd e al Paese tanto che contribuirono alla fine del governo Prodi. "Non rispondo a Mineo - dice Zanda - invece voglio fare una considerazione politica generale sulla necessità di compattezza del gruppo. Sono in Senato da 10 anni ma non so cosa significa la formula dell’autosospensione, ricordo bene però l’esperienza dell’Ulivo in Senato, quando, nel 2007, 12 senatori, dopo mesi di numerose e vivaci espressioni pubbliche di dissenso dal gruppo decisero di uscirne per formarne uno nuovo. Non ho mai condiviso quella scelta e ho chiaro - ricorda Zanda - il clima politico che determinò e le conseguenze che ebbe. Il governo Prodi morì per mano di Mastella, ma la sua fine fu fortemente preparata dalla nostra debolezza numerica (simile all’attuale) e dal dissenso pressochè quotidiano di un gruppo di senatori dell’Ulivo. Allora - continua - non era all’ordine del giorno o la riforma costituzionale, ma le missioni italiane di pace in aree martoriate del pianeta. L’esito politico fu devastante per il centro sinistra e gli italiani ci punirono alle elezioni successive. Tutto questo non si deve ripetere"