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Prodi e De Benedetti, da nemici giurati ad avvocati di Berlusconi

di Andrea Tempestini domenica 16 febbraio 2014

3' di lettura

La credibilità di Giorgio Napolitano è ai minimi termini. Le conseguenze del golpe che orchestrò per dirottare Mario Monti a Palazzo Chigi, disarcionando Silvio Berlusconi, devono ancora arrivare alla politica di questi giorni, divisa tra rimpasti, staffette e venti elettorali. Forza Italia, intanto, punta il dito contro il Colle. C'è chi chiede a Re Giorgio di confessare, chi vuole l'impeachment, chi si chiede se l'Italia sia Repubblica oppure sultanato. Già, perché i sospetti e le prove erano già parecchie, ma da oggi tutti sanno che Napolitano chiese a Monti la disponibilità a guidare il Paese già a giugno del 2011, quando la crisi economica e lo spread erano ancora sotto controllo, ben prima della famigerata lettera-capestro della Bce. L'anormalità - Il Professore - Monti, in questo caso - ha candidamente confessato. Prima ad Alan Friedman e al Corriere della Sera, poi ai cronisti che lo interpellavano: "Sì, c'erano stati dei contatti. Ma non vedo alcuna anormalità". Eppure l'anormalità è talmente macroscopica da far gridare al colpo di Stato: il presidente della Repubblica aveva già deciso tutto, aveva già redatto il suo piano, che in ossequio ai diktat della Germania e in parallelo all'assedio della magistratura prevedeva di sbarazzarsi di Berlusconi. Il resto è storia: lo spread in volo, le pressioni dal fronte europeo, la caduta del Cavaliere e la nomina di Monti dopo quello che, col senno di poi, si può tranquillamente definire un falso giro di consultazioni. I super-teste - Il fatto curioso, però, è che a ridefinire i contorni di questa intricata vicenda, a renderli ancora più nitidi, sono stati due dei nemici storici di Berlusconi. Forse i due avversari più aspri che abbia incontrato nella sua ventennale carriera politica. Il primo è Romano Prodi, l'unico che è riuscito a battere per ben due volte l'uomo di Arcore alle urne (chi infatti può chiamare vittoria quella di Bersani?). Il secondo è Carlo De Benedetti, l'editore di Repubblica, che pur senza averlo mai battuto in alcunchè (se non in tribunale, con l'aiuto delle toghe nel lodo Mondadori), contro Silvio ha prima creato e poi scatenato un'infernale macchina mediatica che, ancora oggi, lo marca strettissimo. Prodi e De Benedetti, oltre a ridefinire l'intera vicenda del "golpe soft" di Napolitano, si rendono protagonisti di una nemesi, intesa come giustizia divina. I due, per contrappasso, da nemici giurati si trasformano in "avvocati" difensori di Berlusconi. Nel Ghedini e nel Longo della situazione, se proprio vogliamo. La confessione - Già, perché Alan Friedman prima di mandare in stampa il libro che sta terremotando il Colle (Ammazziamo il gattopardo, Rizzoli, 300 pagine, 18 euro) si documenta, cerca riscontri a quelle voci che riferiscono delle pressioni (anzitempo) di Re Giorgio su Monti. E i riscontri li trova proprio in Prodi e De Benedetti, entrambi interpellati dal Loden, che chiedeva consigli: "Napolitano mi vuole a Palazzo Chigi. Ora che faccio?". Romano e l'Ingegnere, in favore di telecamera, non possono far altro che confessare e ricostruire cosa accadde in quei mesi, a giugno del 2011 per la precisione, quando i corsi dello spread gravitavano attorno a quota 200 punti base, al di sotto per la precisione. Prodi e De Benedetti non ne escono bene, o senza macchia: hanno taciuto. Ma ora sono i due super-testimoni del Cavaliere, la coppia che con la sua deposizione dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che la caduta di Silvio fu tutto, ma non politica. Fu tutto, ma non democrazia. Eversivo chi? - Infine, nel curioso giochetto delle nemesi, nel dilettevole esercizio della ricerca di giustizia compensatrice, ecco che anche Giorgio Napolitano, suo malgrado, è il centro propulsore di una (probabile) spinta che mai, alla luce dei fatti emersi, avrebbe voluto offrire. A chi? A Berlusconi. Il tiro al Colle, accusato di sfacciata partigianeria, ora non può più essere bollato come "eversione" nemmeno dal più quirinalizo tra i quirinalizi. Un tema, quello della partigianeria di Napolitano, in grado di far presa sull'elettorato di centrodestra. Un tema in grado di spostare voti. In grado di dimostrare che tutto il "male" di cui è stato accusato Berlusconi - unico artefice del quasi-crac italiano secondo le tesi dei più "illuminati" -, forse, faceva parte di un progetto. Di un quadro più ampio. I nodi, insomma, vengono sempre al pettine. E Napolitano, a distanza di tre anni, con la sua stessa mossa rischia di tirare la volata al Cavaliere nel momento del massimo bisogno. Le elezioni sono alle porte, si balla di qualche mese: aprile? Ottobre? Vedremo.

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