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Stadio della Roma, Virginia Raggi: M5s, il piano dei fedelissimi di Luigi Di Maio per farla fuori

di Davide Locano domenica 24 giugno 2018

3' di lettura

Mollare Virginia? I fedelissimi di Luigi Di Maio ci stanno pensando. Liberarsi della sindaca di Roma prima che trascini a fondo il movimento è diventata un’ipotesi da valutare, perché molto presto potrebbe essere il male minore. Il rischio, si ragiona nella squadra di governo dei Cinque Stelle, «è che arrivino prima i magistrati, e allora sarebbe peggio per tutti». Per paradosso, l’innocenza o la colpevolezza della Raggi, che nell’inchiesta sullo stadio al momento non risulta nemmeno indagata, sono secondarie: in questi casi la percezione da parte dall’opinione pubblica conta più della sostanza, specie per chi ha abituato i propri elettori a trattare gli indagati dei partiti avversari come condannati con sentenza definitiva. I sondaggi, infatti, confermano che la tragedia capitolina sta infettando il movimento: quello dell’istituto Ixé per l’Huffington Post, diffuso ieri e realizzato nei giorni scorsi, dice che in un mese il M5S ha perso tre punti, scendendo al 28,5%. Difficile spiegare tutto con l’iperattivismo di Matteo Salvini, che pure continua a rubare consensi ai grillini. Nei confronti del leader della Lega costoro non possono fare molto e nemmeno ne hanno convenienza: riposizionare l’asse del governo a sinistra contro le popolarissime uscite del ministro dell’Interno su immigrati e rom non porta voti, semmai ne fa perdere. Leggi anche: La Raggi smaschera Di Maio? Scatta la vendetta: nel M5s... IL VERO PERICOLO E comunque, per quanto lo ritengano fastidioso, non è il capo del Carroccio che oggi mette in pericolo il governo e il movimento. Quello che potrebbe accadere a Roma, invece, terrorizza. E gli strumenti per far cadere la Raggi non mancano: il più semplice consiste nel girarsi dall’altra parte mentre in Campidoglio alcuni eletti del M5S compiono il lavoro (trovare volontari non è difficile). Il problema, nato come giudiziario e politico, è diventato anche personale. La vicenda dello stadio, è il refrain di questi giorni nella squadra dei ministri grillini, ha incattivito la sindaca. Lei incolpa il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e gli altri del «cerchio magico» di Di Maio di averle appioppato Luca Lanzalone, e ha fatto arrivare ai giornali il proprio sfogo. Loro accusano lei di essersi dimostrata inadeguata al ruolo e debole caratterialmente, al punto da averli tirati in ballo nel momento in cui stava partendo il governo, scaricando sulla cupola del M5S la responsabilità di scelte - gli incarichi ufficiali e non affidati a Luca Lanzalone - la cui titolarità, almeno dal punto di vista formale, spetta a chi governa Roma. Da giorni, ormai, Virginia è una separata in casa. Lei e la squadra di Di Maio si parlano tramite messaggi in codice, tipo quello inviato ieri da Riccardo Fraccaro, ministro per i Rapporti con il Parlamento. Lanzalone, ha detto, «è stato presentato alla sindaca e la sua capacità è stata dimostrata anche in Campidoglio, quindi è stato un percorso condiviso, nessuno lo ha imposto». Che tradotto significa: cara Virginia, noi siamo disposti a «condividere» con te una parte della responsabilità, ma fermiamo qui la corsa alle armi, altrimenti ci facciamo male tutti. Un’uscita molto diversa da quella di Bonafede (ribattezzato #malafede sul web dai senatori del Pd), il quale, poche ore prima, aveva lasciato sola la prima cittadina: «Lanzalone lo ha scelto la sindaca Raggi». Concetto ribadito in serata dallo stesso Di Maio nel salotto televisivo di Bruno Vespa: «La sindaca Raggi decise di individuarlo come presidente di Acea». DIFESA DIFFICILE La difesa formale dell’operato della prima cittadina di Roma resta, ma è sempre meno convinta. Ieri sono trascorsi due anni dalla storica vittoria al ballottaggio contro Roberto Giachetti, che regalò ai Cinque Stelle il governo della capitale. Ma nessuno se ne è accorto, tutti avevano altro da fare. Lei stessa un anno fa, nell’occasione del primo compleanno dell’evento, si era promossa a pieni voti: «Mi do un sette e mezzo. Abbiamo in campo moltissimi progetti, stiamo cambiando tutto il sistema». Stavolta, forse per pudore, ha preferito tacere, evitando autoelogi e promesse che l’avrebbero resa ridicola. Domani, intanto, inizia il processo sulla nomina di Renato Marra, fratello dell’ex braccio destro della sindaca, che in questo caso è chiamata a rispondere dell’accusa di falso ideologico. di Fausto Carioti

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