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Michele Giarrusso, chi è il grillino imbarazzante che vuole impiccare Renzi

di Gino Coala domenica 24 febbraio 2019

3' di lettura

Da quel vischioso groviglio di contraddizioni che spesso anima il governo gialloverde, in questi giorni riemerge prepotente una figura antica: il "parlatore a titolo personale". Della suddetta categoria Cinque Stelle e Lega, oggi, vantano ben due pregiati rappresentati: il senatore Mario Michele Giarrusso e il deputato Claudio Borghi Aquilini. Che nulla hanno in comune, se non la capacità innaturale di bombardare la semantica parlamentare, produrre a getto continuo dichiarazioni eversive che aizzano i taccuini dei cronisti, ed essere -per questo- sistematicamente smentiti dal partito, dalle istituzioni, talora da se stessi. L' epilogo della straordinaria strategia di comunicazione che li fa finire sui giornali è sempre la stessa frase, tranchant, pronunciata dal resto del mondo: «Parla a titolo personale», appunto. Leggi anche: Renzi, l'orrore del grillino Giarrusso: "Deve essere impiccato" Campioni della specialità un tempo erano Renato Brunetta, Mario Borghezio, Nichi Vendola quand' era comunista. Ma Giarrusso e Borghi sono l' evoluzione della specie, tecnica di base e tempistica inarrivabili. Non so come facciano. Prendete l' avvocato Giarrusso. Se avesse deciso di attenersi solo al ruolo di capogruppo M5S nella Giunta per le immunità a Palazzo Madama, sarebbe ricordato solo per una foto terribile, ghignante a torso nudo e un' altra in gessato da gangster anni 30; invece Michele ha deciso che spiazzare è il suo mandato. «MANETTARO» Da qui il famoso gesto delle manette per la famiglia Renzi ai domiciliari, dopo aver giustificato in aula la mancata autorizzazione a procedere per Salvini, e la frase gridata a La Zanzara su Radio 24: «Io sono manettaro!»; mentre, pochi minuti dopo, lo stesso Salvini lo correggeva: «Conosco Giarrusso, non è un manettaro». Mesi prima, in Senato, l' uomo aveva posizionando geograficamente la diga di Mosul in Siria con tanto di smentita ironica del Premier: «Mosul, però, è in Iraq». E poi, indimenticabile fu quella volta che, intervistato da Maurizio Mannoni al Tg3 sull' accordo col Pd sui giudici della Consulta, affermò che la Costituzione era del 1946. Smentito dalla storia. E quando fu accusato di diffamazione contro la Pd Greco, lo stesso Giarrusso invocò per sè, in un primo momento l' insidacabilità parlamentare, e venne smentito da Di Maio. Poi attaccò un giornalista Rai intimandogli di «buttarsi a mare con una pietra al collo», smentito da M5S. Idem per l' accusa a Beppe Grillo di aver posto le votazioni online sul Ddl anticorruzione in modo scorretto. Ma se Giarrusso è un ariete della contropolitica, Borghi, presidente della Commissione Bilancio delle Camera, economista e teorico antieuro, nello stop-and-go delle provocazioni è un centravanti di sfondamento. le sparate L' ultima sparata è stata l' annessione del M5S alla Lega in un unico gruppo parlamentare. Pronta la replica di Salvini: «No al gruppo unico». E del Movimento: «Ci spiace dover contraddire il presidente Borghi ma lui parla a titolo personale. E, sistematicamente, viene smentito». Notare l' avverbio aguzzo, «sistematicamente». E già. Perché, in precedenza Borghi aveva dichiarato che: a) «il commissario Ue Moscovici mi segue su Twitter» (smentito da Moscovici); b) «se l' Europa non cambia, noi ne usciamo» (smentito da Salvini e da Conte); c) «serve una legge che dica esplicitamente che le riserve auree appartengono allo Stato e non a Bankitalia» (smentito da tutti: la legge già c' è. Replica, tiratissima: «ma non c' è l' interpretazione autentica»); d) «se uno dovesse ipotizzare una manovra aggiuntiva adesso, dovrebbe ipotizzarla in maggiore deficit» (smentito da Tria). Il problema di Borghi è che, avendo più credenziali di Giarrusso, quando parla rischia di causare l' effetto farfalla: il 2 ottobre, dichiarando di voler uscire dall' euro, diede una spallata alla moneta unica sul dollaro. A forza di parlare, anzi tuonare, a titolo personale i due sono diventati la mappa vivente dei paradossi di un governo ad eversione variabile.  di Francesco Specchia

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