Cerca
Cerca
+

Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, retroscena: lite furibonda su Fraccaro, "qui salta tutto"

Davide Locano
  • a
  • a
  • a

Il governo M5s-Pd parte male, malissimo. Non soltanto per i veti incrociati tra Luigi Di Maio e Matteo Renzi, quest'ultimo leader di fatto dei democrat. Ma anche per quello che emerge dai retroscena di stampa, la ragione per la quale la lista dei ministri ieri, mercoledì 4 settembre, si è fatta attendere più del previsto. Si parla della violentissima lite che sarebbe andata in scena a Palazzo Chigi tra Giuseppe Conte e proprio Di Maio. Per quaranta minuti, riporta Repubblica, il capo politico M5s ha minacciato di far precipitare il Paese in una nuova crisi: ha lasciato lo studio del premier sbattendo la porta, perché quest'ultimo gli aveva detto che non poteva accettare Roberto Fraccaro come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ruolo che il grillino fedelissimo di Di Maio e pupillo della Casaleggio associati ha poi ottenuto. "Non è una scelta appropriata, lo capisci?", gli intimava il premier. Avrebbe voluto Roberto Chieppa, segretario generale di Palazzo Chigi con cui lavorava benissimo, non un nome così marcatamente politico e così marcatamente grillino ortodosso. Conte, infatti, era terrorizzato dalla difficilissima precedente convivenza con Giancarlo Giorgetti. Di Maio, da par suo, non ha ceduto di un millimetro. E gli ha intimato: "O lui o salta tutto. Se non accetti questa condizione, per me possiamo chiuderla qui". Una minaccia vera e propria, sproporzionata. Una minaccia che però alla fine la ha spuntata. Leggi anche: Un corrosivo Guido Crosetto sui nuovi ministri Resta però una lite che viene descritta come violentissima, furibonda. Un confronto che lascia ferite, strascichi, che rischia di aver già compromesso il rapporto tra il premier e Di Maio. Conte voleva Chieppa poiché considerato più adatto dell'improvvisato Fraccaro per gestire una macchina che farà a meno dei due vicepremier. Ma Giggino, sempre più debole, continuava a ruggire, o almeno a provarci: "Hai già accettato il veto del Pd sul mio nome come vicepremier - urlava -, non posso tollerare che si ripeta". Già, gli rode eccome di non essere più vicepremier. Dunque ha picchiato i pugni, urlato, sbraitato. E ottenuto Fraccaro come sottosegretario, a costo di compromettere in modo difficilissimo da rimediare il suo rapporto con il premier.

Dai blog