Giuliano Amato, dopo il voto incombe la sua ombra su Palazzo Chigi: sarà premier?
Ci sono buone se non altissime possibilità dopo il voto per il rinnovo del Parlamento italiano di avere un governo di larghe intese guidato dall'ottantenne (li compirà il 13 maggio del 2018) Giuliano Amato come presidente del Consiglio. Al momento è l'ipotesi più probabile, se non addirittura l'unica possibile checchè tutti dicano in piena campagna elettorale, giurando una fedeltà che non potranno mantenere. Al momento i sondaggi danno avanti il centrodestra, che mette in campo la stessa coalizione del passato, sia pure con qualche soggetto diverso. I sondaggi che sono in mano ai leader politici sono assai meno ottimisti rispetto a quelli circolati nelle ultime settimane. Ma pure basandoci sul migliore di questi, mancherebbero almeno 10 punti percentuali per sperare di avere la maggioranza risicata dei parlamentari in entrambi i rami del Parlamento. Qualcosina può dare in più la quarta gamba centrista, assai affollata di pretendenti ma ancora in via di formazione. La maggiore parte di loro però porterà una testa/un voto, e sembra già difficile superare la soglia del 3 per cento. Una campagna elettorale azzeccata può aggiungere qualcosa, ma l'obiettivo di vittoria assoluta sembra troppo lontano. Il centrosinistra in questo momento ha solo il Pd di Matteo Renzi che sta intorno al 25% dei consensi ma da parecchio tempo è in fase calante. Lui spera di creare una coalizione, aggiungendo almeno due simboli. Uno dovrebbe riunire un pezzetto di radicali e un pezzetto di verdi sotto un nome non ancora scelto, ma che dovrebbe essere “Sinistra europea” o “Sinistra e progresso”. Oltre a questo anche un simbolo centrista, quello che dovrebbe accogliere oltre a Pierferdinando Casini (che porta solo se stesso) anche Beatrice Lorenzin, Fabrizio Cicchitto e chi in Ap è convinto che vada perseguita l'attuale alleanza di governo. Secondo Renzi tutti questi dovrebbero portargli il 5%, senza che nessuno raggiunga il 3%: voti a lui puramente regalati. Ma anche qui raggiungere il 30% sembra più sogno che realtà, e in ogni caso le speranze di arrivare primo nella corsa elettorale sono ormai chiaramente inesistenti. Fuori dalle due coalizioni correranno Piero Grasso con il suo carrozzino rosso di Liberi e uguali (che imbarca Massimo D'Alema, Pierluigi Bersani e molti di Sel) e il Movimento 5 stelle con Luigi di Maio candidato premier. Nel primo caso si cercherà di ripetere il risultato di Mario Monti alle politiche del 2013, ma si è ancora assai lontani da quell'obiettivo. Il M5s che potrebbe anche sfiorare il 30% dei consensi (ci è molto vicino) ha l'ambizione di diventare nel prossimo parlamento il primo partito singolo scelto dagli elettori. Questo è probabile che avvenga, anche se i sondaggi sulla gara Pd-M5s in passato hanno dato qualche amara delusione alla prova delle urne. Di Maio e il M5s oggi pensano che avranno automaticamente l'incarico dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella se risulteranno il partito più votato. Forse lo dicono per dare speranza ad elettori e militanti, ma questo automatismo non è previsto dalla legge elettorale e nemmeno dalla prassi istituzionale. La legge elettorale prevede le coalizioni, e se queste si formano la prima forza politica oggi sarebbe il centrodestra. Ma se nessuno avesse la maggioranza assoluta dei due rami del Parlamento, il Quirinale non darebbe a nessuno di loro nemmeno un incarico esplorativo, che a poco servirebbe. Se nessuno come è quasi certo dovesse vincere, conteranno allora gli eletti in ciascuna forza politica. Ma un governo trasversale sicuramente non troverà i voti palesi di Matteo Salvini, di Giorgia Meloni e dello stesso Di Maio. Per il governissimo serviranno gli eletti del Pd, quelli di Forza Italia e quelli dei cespugli che accompagnano entrambi. Ma secondo le simulazioni effettuate sugli attuali sondaggi potrebbero mancare alla maggioranza anche così fra 30 e 50 deputati (un po' meno senatori). Cifra che si ridurrebbe con gli eletti delle minoranze linguistiche, sempre pronti ad appoggiare un governo qualsiasi. E che potrebbe essere raggiunta in parte con acquisti di singoli in parte unendo alla maggioranza anche quelli di Grasso. Naturalmente è possibile che senza alcuna maggioranza si torni a votare addirittura a giugno o al massimo a settembre come già accaduto in altri paesi europei. Però in Italia un precedente di questo tipo non c'è mai stato. E personalmente fatico ad immaginare sia 945 parlamentari che dopo tre o quattro mesi vogliano rinunciare a 13 mila euro al mese e partiti già alla canna del gas che abbiano bisogno di altri soldi per una nuova campagna elettorale. Tenderei ad escludere questa possibilità: con tutte le acrobazie del caso, un governo troverà alla fine la sua maggioranza. Ma chi potrà guidarlo? Uno che in partenza non sia rifiutato nè da Silvio Berlusconi nè da Renzi nè da Grasso. L'identikit necessario fa fuori gran parte dei candidati possibili. Pure Paolo Gentiloni, perché è stato il premier di un'altra maggioranza e perché indegiribile dalle truppe di Grasso. Non avrebbe i loro voti un premier tecnico, e quindi è da escludere Mario Draghi che avrebbe comunque il sapore di un presidente dei banchieri. Ci vorrebbe una figura istituzionale, ma non esistono più dopo le scelte di Grasso e di Laura Boldrini. Impensabile uno come Carlo Calenda: troppo di destra. Qualche chance avrebbe semmai il ministro dell'Interno, Marco Minniti, che però è troppo legato al Pd. L'unica figura istituzionale legata a filo doppio a Mattarella, in buoni rapporti con Berlusconi, digeribile da Renzi e abbastanza di sinistra da essere accettabile da Grasso (anche per i rapporti che ha con D'Alema) è appunto il quasi ottantenne Amato. Fossi un bookmaker pagherei assai poco le scommesse sul suo nome… di Franco Bechis @FrancoBechis