Mughini: è finito il berlusconismo, non il Berlusconi politico
La spaccatura del partito dimostra che non è più una proprietà del capo. È l'addio a un clima di scontro e al bipolarismo, ma Silvio e il suo carisma restano
Da non elettore del centro-destra reputo che gli avvenimenti di questi ultimissimi giorni siano stati altamente positivi per quella coalizione e per la sua identità possibile nel futuro politico del nostro Paese. È cessata d'un colpo l'afonia del centro-destra, di cui avevamo avuto un esempio lampante ancora al momento in cui Silvio Berlusconi aveva intimato ai suoi ministri di abbandonare il governo Letta e a quel governo aveva dato i sette giorni come si fa con una cameriera. Per un attimo era sembrato che i due gruppi parlamentari del Pdl accettassero il tutto senza battere ciglio e pronunciare motto. Poi, e nello spazio di poche ore, il finimondo. Decine e decine di parlamentari Pdl che si sottraggono all'esiziale «Berlusconi o morte», Fabrizio Cicchitto che gliele canta per bene al direttore del Giornale che aveva ringhiato contro i «traditori», Angelino Alfano che sorride ad Enrico Letta perché il governo dopo il voto di fiducia continua e sta. Giornate campali, tanto è vero che alcuni parlamentari Pdl sono scoppiati in pianto in aula, e fra questi il senatore e mio vecchio amico Luigino Compagna. Beninteso, parlo di tutto questo nel massimo rispetto per la persona di Berlusconi, ciò che è tutt'altra cosa e tutt'altro romanzo che non il discorso che stiamo facendo sul domani di questo nostro povero e sciagurato Paese. Tutt'altra cosa il rispetto per la persona e l'idea che dopo tre gironi di giudizio un condannato per frode fiscale possa restarsene sul suo seggio di senatore e da quello far dipendere le sorti del governo. Rispetto per la persona, e ci mancherebbe altro. L'ho scritto cento volte su questo giornale che ci sarà un tempo in cui pesare il pro e il contro dei vent'anni di «berlusconismo» senza cadere nei due opposti estremismi della beatificazione e della criminalizzazione. Solo che il «berlusconismo» è finito, non che sia durato poco. Ne è finito uno dei piloni portanti, che il Pdl fosse una proprietà prima che un partito, da cui l'afonia politica di cui dicevo prima. O parlava Berlusconi o era il silenzio, perché tutto il resto della classe politica del Pdl ne era la copia anastatica. Quel giorno infelice della nostra democrazia parlamentare in cui tutti e 314 i deputati del Pdl votarono nel senso di dire che sì, che Ruby poteva benissimo essere presa per la «nipote» di Mubarak. A quello eravamo, al «Berlusconi o morte», a un'Italia che si spaccava verticalmente in due tra quelli che lo osannavano e quelli che lo maledicevano dal gran «Caimano» che era. Una spaccatura verticale da cui molti di noi erano imprigionati: non eravamo «berlusconiani» nemmeno un po' ma non volevamo dare nemmeno un fiore all'accanimento dell'«antiberlusconismo» 24 ore su 24. Dopo quest'ultima settimana di fuoco le cose sono cambiate. Berlusconi resta un imprenditore che è stato geniale nel suo campo, il capo fondatore dell'unica coalizione di centro-destra possibile nel 1994, quello che è stato tre volte capo del governo, quello che ogni volta se li mette sulle spalle i voti di che far ricco il centro-destra. Io mi auguro che anche destituito da senatore lui mantenga un ruolo e un carisma: si fosse dimesso lui, quel carisma sarebbe stato più alto. Detto questo il berlusconismo è finito, come del resto tutto l'armamentario della Seconda repubblica. A cominciare da quel famoso «bipolarismo» di cui non regge più un solo mattone e che suona come una bestemmia il solo pronunciarne il termine. Quando Berlusconi aveva ventilato l'ipotesi che fosse Mario Monti a rappresentare il futuro del «movimento liberale» che solo e soltanto può essere il centro-destra, io dentro di me lo avevo applaudito. Mi sembrava un modo elegante di fare un passo indietro, di riconoscere i nuovi tempi e i nuovi problemi. Tra quel Berlusconi e il Berlusconi che intima ai suoi ministri di mandare a carte quarantotto un governo che è purtroppo l'unico possibile per il nostro Paese, passa una distanza oceanica. Che ti spieghi solo per le vicende giudiziarie che hanno coinvolto l'ex capo del governo. Quelle vicende giudiziarie non possono però diventare il Piave dello scontro tra una parte e l'altra del nostro schieramento politico, e naturalmente in questo mio ragionamento non metto il Nulla a 5Stelle che ai miei occhi è come se non esistesse. Parlo delle due parti che contano, e dunque le «larghe intese» possibili, la Responsabilità Epocale che ha la classe politica italiana di impedire il disastro di un Paese che era la quinta potenza industriale del mondo. Le larghe intese, Enrico Letta che sorride al suo coetaneo Alfano. Beninteso, poi dai sorrisi dovranno passare ad alcuni, ai pochi fatti possibili. E lo dico rivolto al mio amico Maurizio (Belpietro). Lo so che questo governo non è il massimo dei massimi. A voler rinnovare la battuta di Winston Churchill sulla democrazia, potremmo persino dire che è un pessimo governo. Solo che tutti gli altri governi possibili sarebbero peggiori. Altro che trovare i soldi di che riportare l'Iva al 21 per cento, di non far pagare a nessuno l'Imu sulla prima casa, di che pagare i debiti arretrati della Pubblica Amministrazione agli imprenditori che le hanno consegnato dei lavori, di che attenuare il cuneo fiscale come tutti raccomandano un giorno sì e l'altro pure da trent'anni. Caro Maurizio, non esiste nessun Batman della politica che possa riuscire in tutto questo. Non esiste al mondo una mattina in cui noi ci sveglieremo e non avremo da pagare la quota giornaliera dei 90 miliardi di euro che ci costa il nostro debito pubblico. Così è. Giampiero Mughini