Grillini, "kretini" e astenuti. Forse il peggio ha da venire
Si vota dopo gli insulti e le promesse della campagna. Ma all'Italia non resta più un euro. Possiamo dire solo: "Aiuto"
di Giampiero Mughini E dunque mancano poche ore al disastro annunciatissimo, alla conta dei voti che fa da traguardo di una campagna elettorale vacua e schiamazzante, una conta dove non ci saranno vincitori reali e quali che siano questi vincitori. Ovviamente la coalizione di sinistra alla Camera, ovviamente i grillini per lo meno in senso relativo e simbolico (cento parlamentari?), del Senato non ci sono notizie, e mentre con mio dispiacere appare pallidissima la stella del «centro» guidato da Mario Monti. Quanto alle elezioni regionali in Lombardia, può succedere tutto e il contrario di tutto. Per non dire quel che resta, ed è pochissimo, della coalizione di centro-destra. Figuriamoci per un attimo che risulti vittoriosa alle politiche, e dunque ecco che gli elettori correranno al più vicino ufficio postale ad incassare il rimborso Imu. Solo che in quelle casseforti non c'è il becco di un euro, né c'è il becco di un euro per aumentare le pensioni minime, né c'è il becco di un euro per avviare lavori pubblici che diano lavori ai giovani come vorrebbe la sinistra, né c'è il becco di un quattrino per quel «benvenuto» alla solidarietà sociale che vorrebbe Nichi Vendola, a meno di non portare le tasse sul ceto medio ai livelli stratosferici della Francia a dominante socialista. E a non dire che ci vuole davvero un perfetto «kretino» di sinistra per affermare che la posta in gioco di queste elezioni sarà il fatto che 60 milioni di italiani si libereranno di quell'uomo che da solo rappresenta il Male Assoluto, ossia Silvio Berlusconi. Fossero le cose così semplici, basterebbe mandare una squadra di Forze Speciali che ci faremmo imprestare dai nostri alleati americani, prelevare di notte il Berlusca ad Arcore, farlo montare su un aereo e portarlo in una località remota dove nei prossimi dieci anni lui possa godersi al sole i suoi risparmi e non più contaminare un'Italia altrimenti perfetta e immacolata. Macchina ingovernabile La nostra, e tanto più dopo queste elezioni, è divenuta una macchina politica ingovernabile? Assolutamente sì, e non c'è proprio da scherzare sull'argomento. Rischiamo di andare a un bis di campagna elettorale nel prossimo autunno, quando l'unica novità politico-partitica potrebbe essere rappresentata da un Matteo Renzi che riapparisse sulla prima linea e scombussolasse le carte che stanno sul tavolo da gioco. Altrimenti niente, oppure Beppe Grillo al 40 per cento. Oppure la corsa di gran lena verso «il modello greco». Del resto è recente il caso di una vittoria elettorale in Italia che non fu tale. Nel 2006, quando Romano Prodi batté di poche centinaia di migliaia di voti la coalizione di centro-destra. Credeva davvero di aver vinto, e fece subito le mosse care al suo elettorato. Stoppare la riforma delle pensioni (il famoso «scalone» apprestato dall'allora ministro Roberto Maroni), e aumentare le tasse al ceto medio. Il risultato fu che il governo durò a stento due anni e che alle successive elezioni del 2008 la vittoria di Berlusconi fu tra le più schiaccianti della nostra storia politica recente. Una vittoria e una forza parlamentare di cui lo stesso Berlusconi fece un uso a dir poco pessimo, come ben ricorda chi ha a mente gli ultimi tempi del suo agonizzante governo. Una conta elettorale - quella che comincerà poco dopo le 15 di domani - che non attenuerà in nulla la tragedia della nostra società e della nostra economia, quei mille disoccupati in più al giorno cui alludeva l'editoriale di prima pagina di «Libero» di ieri, mille disoccupati in più al giorno e questo per la gran parte dell'anno che ci aspetta. Non c'è Rambo che possa attenuare questa morìa che in questo momento appartiene alle viscere dell'economia all'occidentale, e non siamo solo noi italiani a penare. La Francia e la Gran Bretagna di questi anni ansimano pesanti. Gli Usa sono stati sull'orlo del default di bilancio. L'aggravante italiana è che la politica dei partiti nel nostro Paese non è atta a risolvere il problema, è il problema, e ne è un indizio spettacolare quella piazza romana che venerdì faceva da «teatro di tutte le rabbie», a dirla con il Mattia Feltri della «Stampa». Tutte le rabbie d'Italia, e tutte le generazioni italiane, concentrate in una piazza ad applaudire le bestemmie, le vacuità, i luoghi infinitamente comuni, gli annunci di nulla che sia possibile di uno showman che si infiamma a sparare sulla crocerossa, sulla politica ufficiale italiana ridotta allo stremo e su una classe politica che a dirla in termini di calcio non la faresti giocare neppure nel torneo juniores. Dagli altari alla polvere Lo diceva uno dei cartelli esibiti nella piazza grillina da uno che è certo un galantuomo: «Quaranta anni di lavoro per mantenere un milione di farabutti». E comunque ogni epoca politica ha i suoi eroi. Ve lo ricordate sì o no il tempo in cui Antonio Di Pietro veniva giudicato dall'elettorato femminile il più sexy tra gli uomini politici italiani, e lui era convinto (a ragione) che se ci fosse stato un referendum a dire chi dovesse fare il capo del governo, lui lo avrebbe vinto alla grande? «Di Pietro chi?», direbbe oggi qualcuno. Sì, i risultati della conta elettorale li possiamo prevedere con il minimo rischio di errore. Tra astenuti e schede bianche c'è quasi un terzo degli italiani che non dice né sì né no, che si disinteressa alla partita. Tra grillini, adepti dell'uomo metà magistrato-metà furente candidato di parte e altre liste ringhianti, un altro terzo degli italiani. Dei rimanenti, i vincitori avranno sì e no qualche punto percentuale in più dei vinti, e sempre che tra i vincitori Pier Luigi Bersani e Monti possano remare assieme a Vendola e alla Cgil. Remare per andare dove, per mantenere quali promesse? Una «società giusta», ma che vuol dire? Aiuto, aiuto, aiuto. E meno male che me li ritrovo i soldi per pagare il rateo Iva del prossimo mese di marzo.