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Tutta la verità su Mario Monti:usa l'Italia per far carriera

Monti, il carrierista

Strappare ora che il suo nome è ancora spendibile, usando la paura dello spread, è parte del suo disegno: si farà corteggiare in attesa del Quirinale o, peggio, del bis di governo

Andrea Tempestini
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  di Pietro Senaldi Occorre tranquillizzare i mercati, gli isterici dell'antiberlusconismo, le cassandre del Paese sull'orlo dell'abisso e pure Bersani: quello di Monti di sabato sera è un mezzo bluff per tre ragioni. 1) SuperMario non si è dimesso, tanto è vero che, come ha precisato lui stesso ieri da Oslo dove rappresentava l'Italia in quanto presidente del Consiglio,  «il governo è ancora in carica» e ci rimarrà fino alla fine della legislatura. 2) Il Pdl, come aveva detto in Parlamento Alfano nel discorso che ha così indispettito il premier, non ha alcuna intenzione di farlo cadere. 3) È vero che l'attività del governo, fatta eccezione per la legge di stabilità e il decreto salva-Ilva sarà praticamente paralizzata, ma il panorama non cambia poi di molto rispetto agli ultimi mesi dei Professori (taglio delle Province e dei parlamentari, riforma della giustizia o provvedimenti economici incisivi nessuno ormai si illudeva che sarebbero stati fatti).  L'unica cosa che cambia è la data delle elezioni, che anziché fra tre mesi saranno tra due mesi e mezzo.  Con il suo gesto, improvviso ma studiato, il Professore ha semplicemente iniziato il secondo tempo della propria esperienza politica, che ancora non è dato sapere se lo porterà a presentare una propria lista come fece Dini (ipotesi improbabile) ma è certo che non lo vedrà confinato al semplice ruolo di senatore a vita (ipotesi da non prendere neppure in considerazione).  Logorato da una crisi economica che nei numeri che contano (Pil, debito, occupazione) il suo governo ha aggravato anziché migliorare, tradito dai suoi ministri (sempre più impopolari e  manifestamente inadeguati), scaricato dal Pdl, ma anche dalla sinistra, che in vista del voto avevano iniziato a sparare a palle incatenate contro l'esecutivo, lui stesso in forte crisi di consensi e consumato dalle ansie dilaganti degli italiani, Monti non poteva aspettare ancora molto per avviare la sua campagna, elettorale o politica si vedrà. Era costretto a voltar pagina fintanto che il suo nome era ancora spendibile e ha colto al balzo l'occasione della sfiducia morale recapitatagli dal Pdl e della candidatura di Berlusconi - in verità non poi così stravagante visto che la stragrande maggioranza dei premier eletti si ricandida - dichiarando pubblicamente di lasciare in polemica col Cavaliere, cosa che come era prevedibile gli è valsa la solidarietà di sinistra, Chiesa, Europa e benpensanti. Nel suo calcolo, non indotto ma certo aiutato dalla puntigliosità e permalosità del personaggio, Monti è stato cinico, fin quasi spietato, e si è giocato pure la carta dello spread e delle Borse, dicendosi preoccupato di una reazione negativa dei mercati. Se davvero però fosse stato preoccupato, se ne sarebbe stato zitto, o al più avrebbe usato  parole  rassicuranti, come ha poi fatto ieri -  preso atto di uno spread salito meno del previsto - affermando che «non bisogna drammatizzare» o di «non aver dubbi che il nuovo governo italiano sarà responsabile ed europeista». Ma questo avrebbe limitato l'effetto criminalizzazione di Berlusconi e rimpianto dei tecnici, che il Professore invece voleva a ogni costo e che in fondo cercava anche Napolitano (ma in quale Paese, civile o incivile, un presidente della Repubblica, esterna preoccupazioni sulla tenuta della Borsa?). Se poi il Professore tenesse allo spread oggi quanto ci teneva fino alla settimana scorsa, quando sull'altare dei tassi d'interesse del Btp decennale ripuliva le tasche degli italiani e strangolava le imprese con ogni genere di balzello, anziché nascondersi dietro frasi sibilline del tipo «per ora non penso a candidarmi» e destabilizzare lo scenario con dimissioni senza data e progetti vagheggiati farebbe finalmente chiarezza sul suo futuro. Visto infatti che le possibilità di una vittoria di Berlusconi sono minime, è probabile che mercati ed Europa siano nervosi più che per le scarse possibilità che il Cav paralizzi la politica del Paese con il 15/20% di cui è accreditato, per i tentennamenti del Professore e l'attesa vittoria del ticket Bersani-Vendola, da cui peraltro il medesimo non disdegnerebbe di farsi incoronare al Quirinale. Ma ripercorrendo il curriculum dell'uomo, non c'è da sperare in un'esplicita discesa in campo a breve. I professori universitari, si sa, fanno carriera per cooptazione, ed è così che Monti è arrivato a Palazzo Chigi, attraverso una campagna promozionale fatta di editoriali in cui non faceva cenno alla spremuta che ci avrebbe imposto, invocava tagli agli sprechi che nessuno ha poi visto e dispensava soluzioni per la crisi che, alla luce di quanto è successo, non hanno nulla da invidiare alle più fantasmagoriche promesse elettorali di Berlusconi.  Si rassegnino quindi Casini, Fini,  Pisanu, Frattini, Fioroni e tutto il «nuovo» della politica che aspetta in ginocchio che il Professore gli consenta di usare il suo nome per una lista di centro: i sondaggi danno una siffatta lista tra il 9 e il 15%, addirittura al 4 se (l'ex?) premier non si candiderà direttamente. Monti si farà corteggiare, li userà senza troppi scrupoli ma non li sposerà. Andrà avanti a fare il Grillo Parlante, dispensatore di sobrietà, banalità ed eurosaggezza, lasciando agli altri i problemi e la fatica della lotta. Andrà a Unomattina e farà altre comparsate nazional-popolari intv per guadagnarsi il favore di casalinghe e pensionati ma la sua è una campagna elettorale strettamente personale: punta al Colle a primavera o a Palazzo Chigi più tardi, confidando in uno scenario di ingovernabilità,  nell'appoggio di mercati ed euroburacrati e nell'acuirsi di quella crisi per fronteggiare la quale i tecnici non hanno preso alcun provvedimento. Tanto poi alla fine a fermare lo spread ci dovrà pensare Draghi, come già successo due volte, e questo il Professore lo sa bene.  

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