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Anche la colomba si è arresaGianni Letta: "Sarà crisi"

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Berlusconi: "Senza election day uno spreco inaccettabile". D'accordo anche Casini. E l'ex sottosegretario avvisa il Quirinale. Si lavora su una legge elettorale-lampo

Andrea Tempestini
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di Salvatore Dama e Barabara Romano La luna stamane è tramontata su una delle notti più lunghe per Mario Monti da quando è a capo del governo. Il premier, infatti, è impegnato in un esercizio di equilibrismo mai così spericolato per tenere insieme la “strana maggioranza” che sostiene il suo esecutivo, senza deragliare dai binari che collegano Palazzo Chigi al Colle e senza deludere le aspettative di Bruxelles. Al di là del silenzio istituzionale dietro cui si trincera il Professore, ferve un estenuante lavoro di mediazione con i partiti, per tenere la barra dritta sulla data delle elezioni senza tirare troppo la corda. La deadline è fissata per le 10.30 di stamattina: dalla decisione del Consiglio dei ministri, infatti, potrebbe dipendere la sorte del governo Monti. Visto che stavolta, dopo tanti “penultimatum”, il Pdl fa sul serio: lo ha chiarito Gianni Letta a Giorgio Napolitano. Che ieri sera ha sentito al telefono anche Angelino Alfano.  La linea del governo resta ufficialmente quella di scorporare le elezioni regionali da quelle politiche. Linea rimarcata ieri dal ministro dell'Interno, Anna Maria Cancellieri, dalle colonne del Corriere della Sera. Ma la posizione del Viminale, come noto, non coincide esattamente con quella la presidenza del Consiglio. E la Cancellieri, sul no all'election-day gode dell'endorsement di Napolitano e del Pd, che per una volta marciano uniti nel reclamare l'anticipazione delle Regionali a febbraio e rivendicare al governo la sua scadenza naturale. A ben guardare, però, Monti non è così tetragono sullo sdoppiamento del voto. L'uovo di Colombo che Monti sta covando con le colombe del Pdl e dell'Udc è proprio l'accorpamento delle urne da collocare a metà tra la prima e la seconda scadenza elettorale. Si sta studiando un compromesso che garantisca di celebrare a breve le Regionali in Lazio, Lombardia e Molise, senza prolungare troppo la campagna elettorale per le Politiche. In due parole: metà marzo. Ma c'è un problema: il Quirinale. Monti sa che Napolitano (ieri sera i due si sono incontrati) è più che mai determinato a far morire questo governo di morte naturale. Quando si sono riuniti a pranzo con la Cancellieri, martedì scorso, gli ha ribadito chiaramente che non ha nessuna intenzione di sciogliere le Camere prima della scadenza della legislatura, il 7 aprile. E il suo diritto di dire la sua sulle elezioni, “Re Giorgio” lo ha ribadito anche pubblicamente, ieri, agli Stati generali della cultura al Teatro Eliseo di Roma. «Il ruolo del Presidente della Repubblica non si risolve, come si dice per alcuni Re in altri Paesi, nel tagliare nastri», tiene a precisare, «ma prevede un'assunzione di responsabilità, senza prendersi campi che non sono suoi». Nel delimitare il suo perimetro costituzionale, Napolitano lancia un avvertimento a Monti: «Le responsabilità di governo non sono del Capo dello Stato, che non si può sostituire all'esecutivo e deve rispettarne  l'operato, ma le grandi scelte di fondo possono rientrare in un dialogo tra le due istituzioni». Un'espressione diplomatica per rivendicare a sé, non solo nei confronti dei partiti ma anche rispetto a Palazzo Chigi, il suo diritto all'ultima parola sulla data delle elezioni e, quindi, di vita e di morte sul governo. «Non bisogna giocare con il rischio-fallimento», fa sapere il Quirinale. Che a una sola condizione scioglierebbe le Camere anticipatamente:  l'accordo tra i partiti per fare la nuova legge elettorale. Si sta trattando. Dopo i battibecchi della scorsa settimana Pier Ferdinando Casini ha provato a ritrovare il dialogo con Pier Luigi Bersani. Che ieri ha litigato con Alfano sulla data del voto (Botta: «La crisi dipende dal Pd»; risposta: «Non decidono i partiti»), ma si è ritrovato col segretario azzurro sul no al Monti bis.  Il problema è che al Partito democratico le cose stanno bene così: voto regionale anticipato, con grossa ipoteca di  vittoria (Grillo permettendo), e urne politiche a scadenza della legislatura, meglio ancora se con il Porcellum. What else? Per trovare una soluzione si sta muovendo anche il presidente del Senato Renato Schifani. Ieri a Palazzo Madama è stato rinviato il voto in Commissione sul riordino delle Province: il Pdl è sul piede di guerra, era troppo rischioso  procedere con l'iter. «Stavolta andiamo fino in fondo, i cittadini capiranno, con l'election day risparmiamo i loro soldi. Questo governo è un fallimento, è giusto che cada», ha spiegato ieri Silvio Berlusconi ai suoi interlocutori. Tra questi anche la presidente uscente della Regione Lazio Renata Polverini. Che si è rifiutata di firmare il decreto di scioglimento della consiliatura in attesa che il Consiglio di Stato decida sul voto anticipato.    E in questo clima incandescente gli azzurri provano a celebrare le proprie primarie. Si è deciso per un calendario flottante. Dureranno due mesi, con appuntamenti che partiranno il 16 dicembre e finiranno a inizio febbraio. Sempre nel caso in cui non si vada al voto anticipato. Se cade il governo è tutto da rivedere. Ieri è stata un'ennesima giornata di tensione tra ex An (che organizzaranno una manifestazione a Milano per sostenere la candidatura di Alfano) ed ex Forza Italia. Ma il malessere attraversa il partito a prescindere dalla provenienza politica. I coordinatori regionali del Pdl, convocati per ricevere istruzioni a via dell'Umiltà, hanno scoperto che le primarie se le devono pagare da soli. Perché la direzione del partito non ha soldi e il Cavaliere ha sfoggiato, per l'occasione, un inedito braccino corto. «Primarie all'americana? Semmai alla keniota..», ha trovato la voglia di sorridere un coordinatore regionale del partito alla fine della riunione.

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