Maruccio e slot, poteva non sapere? Sì, e ne esce come un imbecille
Idv allo sfascio. E forse Tonino non se lo immaginava neanche. Il che è anche peggio...
di Filippo Facci Mica c'è da infierire. È solo che, se Maruccio è una mela marcia, ora devono spiegarci che Di Pietro non era l'albero, che non sapeva, non immaginava: come del resto è probabile. Il che è anche peggio. Perché Maruccio era roba sua, come tutti quelli che avevano a che fare coi soldi nell'Italia dei Valori monetari: quel visino d'angelo incastonato nella crapa di Al Capone non era solo ex assessore ai Lavori pubblici e capogruppo Idv nel Lazio, era l'avvocato di Antonio Di Pietro nello studio di Sergio Scicchitano, a sua volta indagato per false fatturazioni nel giugno 2011. Il quale Scicchitano esercitava dove Tonino aveva il suo domicilio professionale e dove peraltro lavora anche il ragionier Norberto Spinucci, ex tesoriere Idv, indagato per riciclaggio in concorso ancora con Scicchitano. Senza contare che nello studio legale, in forma di consulente, c'è anche Di Pietro: nell'ottobre 2010 Scicchitano inviò ad alcuni colleghi un cartoncino in cui si diceva «lieto di annunciare che l'On.Avv.Antonio Di Pietro è consulente dello studio dal 26 giugno 2010». Questo su un piano formale. Nel piano sostanziale c'è Di Pietro che a ogni bega quasi strillava: «Chiamatemi Maruccio». Il quale Maruccio, secondo quella magistratura che Tonino rispetta sempre e comunque, spesso però era impegnato: stava sottraendo circa un milione di euro al partito attraverso una «sistematica spoliazione» del finanziamento pubblico, soldi sparsi con dei bonifici su una quindicina di conti correnti successivamente svuotati. E qui c'è la parte più penosa, perché c'è da spiegare perché un milione di euro non gli bastava, e tantomeno gli bastava il denaro elargito da amici, parenti, amici tabaccai, fidanzata e persino la nonna calabrese. C'era il problema del videopoker, oltretutto. Questo ha scritto la Finanza: sale gioco e slot-machine della Capitale, soprattutto in via Flaminia («Las Vegas slot room») dove Maruccio avrebbe perso «circa 100mila-120mila euro» nell'ultimo anno. L'hanno arrestato per questo? No, l'hanno arrestato perché secondo i giudici ha immediatamente cercato di inquinare le prove e di concordare «versioni a sé favorevoli perché collimanti con i suoi racconti». Ecco perché il suo legale Luca Petrucci, che pure è un ottimo avvocato, ha difficoltà nel denunciare ciò che pure è vero: «La custodia cautelare dovrebbe essere l'extrema ratio, ma in questo modo appare come uno strumento di pressione sull'indagato». Parole che l'albero, cioè Antonio Di Pietro, conosce a memoria. Speriamo che l'avvocato Petrucci abbia modo di approfondire come sia stato possibile che ieri sera alcuni siti avessero online il video dell'arresto di Maruccio griffato «Guardia di Finanza, Nucleo Speciale Polizia Valutaria». Di Pietro, intanto, si ritrova protagonista del solito dilemma: poteva non sapere? Risposta: ma certo che poteva non sapere. Il problema è che, se non sapeva, rischia di uscirne come un imbecille. Maruccio - il ragazzino che ha vergato tante delle querele dipietresche - era un personaggio del genere, ma lui, col suo celebre fiuto, non immaginava. E speriamo non ci sia niente di vero nel teorico aggancio tra Maruccio e l'inchiesta antimafia della Dda di Catanzaro, un filone che sinora l'ha soltanto lambito: l'ipotesi è quella di una joint-venture tra Maruccio (non indagato) e una cosca della ndrangheta interessata a un giro di appalti tra Lazio e Lombardia e Veneto. C'è un'intercettazione telefonica in cui Maruccio, «calabrese come loro», viene spacciato come uno che garantiva appalti in cambio di voti. E c'è una testimonianza secondo la quale dalla Calabria cercarono un abboccamento con Maruccio attraverso una massaggiatrice. Nell'insieme, una pena.