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Ecco la sentenza dei giudici:la riforma Fornero è inutile

Elsa Fornero

A Bologna reintegrato un lavoratore che insultava l'azienda via mail. La nuova legge puntava sul risarcimento, ma alla fine decidono sempre le toghe

Andrea Tempestini
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  di Antonio Castro Articolo 18, cantiere (traballante) e sempre aperto. Il reintegro di un operaio di Bologna, che si era permesso di criticare via mail l'organizzazione del lavoro, accende un faro sugli effetti di una riforma annunciata, sofferta, elaborata, discussa, difesa e criticata per mesi. La storia è semplice: un'impiegato della Alta srl si lamenta, riferendosi ai tempi di consegna di un lavoro: «Parlare di pianificazione nel gruppo Atti è come parlare di psicologia con un maiale». La mail viene intercettata dai dirigenti e il 30 luglio scorso, appena entrata in vigore la riforma del lavoro del ministro Elsa Fornero, l'azienda parte lancia in resta e licenza per giusta causa. Il lavoratore, assunto nel 2007, fa ricorso d'urgenza ex articolo 700. Nei giorni scorsi è arrivata la sentenza del tribunale del Lavoro di Bologna: reintegro. Ma come? La riforma non doveva servire a risolvere l'eventuale contenzioso con un pagamento economico? In teoria sì, in pratica è rimasto tutto come prima. Vale a dire lascia ampia discrezionalità al magistrato di decidere se e quali comportamenti del lavoratore (o dell'azienda) sono sanzionabili e in che modo. Il legislatore, dimenticandosi di inserire nella norma i casi specifici in cui scatta il licenziamento e quindi l'eventuale pagamento di un'indennità, lascia alle toghe a decidere liberamente.  L'impiegato avrà sicuramente festeggiato, l'azienda masticato amaro per l'obbligo al reintegro (stanno valutando se e come fare ricorso). Resta il piccolo particolare di un precedente che dimostra che poco o nulla è cambiato.  La riforma, almeno stando alle intenzioni del ministro Fornero, avrebbe dovuto falciare i casi di reintegro, sterzando,  una volta dimostrata l'assenza della giusta causa, per l'indennizzo economico. Ma la sentenza del  giudice Maurizio Marchesini ora potrebbe fare giurisprudenza (sicuramente nelle tribune mediatiche), e, soprattutto, mina alle basi uno dei paletti fondamentali della riforma voluta dal governo Monti.  Rivoluzione chiesta da Bruxelles per rendere un po' meno rigido il mercato del lavoro in Italia, che limita (o avrebbe voluto limitare) il reintegro ai soli casi di «insussistenza del fatto contestato». Cioè, se l'episodio che ha determinato il licenziamento non è accaduto, aldilà di ogni ragionevole dubbio (e giudizio). Ma in questo caso il «fatto» esiste per davvero. Come sta a dimostrare la mail di lamentele.  Peccato però che il giudice Marchesini abbia interpretato la legge in modo diverso. L'ordinanza di reintegro, che derubrica «la modestia dell'episodio in questione e la sua scarsa rilevanza offensiva», fa decadere la giusta causa. Ma non basta. Infatti secondo il magistrato il termine «fatto», non può riferirsi al semplice episodio materialmente verificatosi ma al «fatto giuridico».  E così entrano in ballo elementi soggettivi. Il magistrato del caso bolognese spiega che non basta accertare che l'episodio sia avvenuto (l'invio della mail polemica), ma è anche necessario valutare «l'intenzionalità», il contesto aziendale e pure i fattori psicologici (la mail dell'impiegato licenziato era in risposta a una comunicazione dai toni arroganti del capo). Un caso singolo, piccolo piccolo, di controversia aziendale che però fa saltare il tanto ricercato (dalla Fornero) automatismo che impediva il reintegro davanti a un fatto realmente avvenuto. In verità la discrezionalità del giudice nell'applicare la legge è data da una mancanza di definizione dei casi che lascia ampio margine di manovra.  E la madre della riforma? La professoressa Fornero glissa sul caso bolognese ma torna a difenderne l'impianto: «Abbiamo modificato l'articolo 18», spiega intervenendo all'Assemblea dei Giovani industriali, precisando che è stato fatto «senza nessun pregiudizio ideologico». In sintesi, Fornero sottolinea che la riforma del mercato del lavoro ha l'obiettivo di «risolvere un problema: abbiamo cercato di riconoscere le ragioni dell'impresa, per cui in certi casi il rapporto di lavoro non c'è più per ragioni economiche o disciplinari. E abbiamo detto che la reintegrazione del lavoratore non è più ammessa. L'applicazione della norma dipende da molti fattori, per esempio dalla buona fede degli imprenditori, del datore di lavoro e del lavoratore. Se il licenziamento nasce da ragioni oggettive e ha il presupposto della buona fede perché non deve essere possibile la strada della conciliazione? Perché portare sempre le cose dal giudice?».  Ovvia la soddisfazione della Cgil, primo baluardo alla riforma. Però adesso Fornero prende  bacchettate anche degli avvocati: «Le modifiche all'articolo 18», spiega il presidente dell'Associazione dei giuslavoristi, Fabio Rusconi, «hanno scontentato tutti»  poiché la disciplina «complica a dismisura regole, sanzioni, possibilità di esiti, litigiosità». Si è fatto tutto «fuorché dare certezze». Bella riforma.  

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