Il retroscena dell'addio del Cav:dopo il sondaggio, il blitz
Torchiato per 5 ore da Alfano, Berlusconi ascolta Gianni Letta, Confalonieri e Doris. Tutti gli altri erano all'oscuro della decisione di Silvio
di Salvatore Dama Quando Angelino Alfano lascia Palazzo Grazioli, su Roma è già l'imbrunire. Il segretario esce dalla residenza di Silvio Berlusconi con due risultati in tasca: le primarie per la scelta del candidato premier del Pdl e la conferma dell'investitura quale delfino del capo. È l'epilogo di cinque ore di confronto duro con il Cavaliere. In cui l'ex Guardasigilli ha fatto quello che tutta la dirigenza gli chiedeva da mesi. Ha affontato Berlusconi a viso aperto, forte del sostegno del partito, e l'ha messo di fronte a una scelta: o ti candidi o lasci strada, basta tentennamenti. Va detto che da solo Angelino non avrebbe mai incassato il passo indietro del suo mentore. Decisiva è stata la sponda di Giuliano Ferrara. Il direttore del Foglio si è inserito nel dialogo, pare intervenendo al telefono, e ha usato la sua capacità di persuasione (che sul Cav. ha molto appeal) per spingere l'ex premier verso il grande passo. Lo stile dell'elefantino è percepibile nitidamente anche nella prosa del “comunicato-testamento politico” che Silvio affida alle agenzie. E che poco prima il sito internet del Foglio aveva anticipato, per “incastrare” Berlusconi ed evitare che ci ripensasse all'ultimo momento. Addio alla politica. Secondo Ferrara è possibile che Silvio non si presenti proprio alle prossime elezioni. Neanche per un seggio al Senato che gli garantisca le guarentigie parlamentari. Ma, oltre ai consigli della “premiata ditta”, ci sono anche altre motivazioni che hanno spinto il Cavaliere verso la svolta: la moral suasion di Gianni Letta, ricevuto a pranzo a via del Plebiscito, che da mesi è ideologo del passo indietro; le pressioni di Fedele Confalorieri e di Ennio Doris a farsi da parte per il bene delle aziende; il rischio di una condanna imminente per il processo sulla compravendita di diritti televisivi. Infine, a corollario di tutto ciò, arriva la lettura pomeridiana di un drammatico sondaggio. Che dà il Pdl sotto il 14. E che certifica la fine delle doti taumaturgiche dell'uomo di Arcore. Perlomeno quelle applicate all'attrazione del consenso politico. Il bello è che tutto il partito rimane all'oscuro degli eventi in corso a Palazzo Grazioli finchè non viene diffuso il comunicato alle agenzie. Anche i più stretti collaboratori di Berlusconi apprendono la notizia così. Cascano tutti dal pero. D'altronde, fino alla tarda mattinata, Silvio faceva tutt'altri discorsi. Ha visto Denis Verdini e Roberto Calderoli per parlare di legge elettorale. E non una parola con loro sull'eventualità dell'addio. Poi, a colloquio con un senatore, si è addirittura detto «prontissimo» alla campagna elettorale: «Il partito rimane, nessuna lista personale, cambiamo solo il nome. E ci presenteremo agli elettori con un programma snello: solo 5-6 punti. Vedrai!». Tutte balle? Troppo facile. Ed è qui che si insinua il dubbio. Di un Cavaliere “situazionista”. Che al momento manda avanti Alfano e poi si vede. È un po' la storia degli ultimi mesi. Silvio ha lanciato Angelino scegliendolo come segretario del partito e investendolo della futura candidatura a premier. Poi ci ha ripensato («Non ha il quid») e si è detto disposto a «l'ultimo sacrificio» per il bene del partito («Senza me dove vanno?»). Quindi è stata assalito ancora dai dubbi guardando i sondaggi. E ha temporeggiato. Fino a ieri. Quando ha ufficializzato il passo indietro. È sicuro? La accendiamo?