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Partiti allo sfascio: l'Italia ora è pronta per i colonnelli

Forse le forze tradizionali non arriveranno neanche alle urne. E se ci trovassimo Grillo al potere, occhio a chi indossa una divisa

Andrea Tempestini
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  di Giampaolo Pansa Era troppo ottimista il titolone che giovedì campeggiava sulla prima pagina di  Libero: «Palude delle libertà». Se voleva indicare la crisi terribile che investe il centrodestra e soprattutto il partito di Silvio Berlusconi, non teneva conto di un fatto. Le paludi non sono mai un cimitero di organismi morti. Sotto il fango e l'acqua,  si cela una vita potente e rigogliosa. Noi non la vediamo, ma c'è. La stessa forza vitale esiste nella politica italiana? Penso di no. Nei palazzi della Casta tutto sta morendo. E la signora con la falce non fa differenze: taglia le teste sia a destra che a sinistra. Da ragazzi, noi balilla di Mussolini cantavamo: «La fine dell'Inghilterra comincia da Giarabub».  Poi le cose non andarono così. In Africa settentrionale vinsero gli inglesi di Montgomery, mica le truppe dell'Asse guidate da Rommel. Ma oggi possiamo dire con sicurezza che la fine di Berlusconi comincia dalla Polverini. Non è un'oasi del deserto libico, bensì una signora che la malasorte ha voluto collocare sulla poltronissima della prima regione italiana, il Lazio, quella della capitale. Mia madre mi aveva insegnato una regola di prudenza astuta: mai prendersela con le donne!, loro si vendicano e ti fanno a pezzi. Però una verità sulla Polverini bisogna dirla, sia pure con molto rispetto per i suoi guai personali. La verità è che non doveva mai darsi alla politica e accettare incarichi così difficili da onorare. Il perché lo spiega la sua storia, un caso esemplare dei disastri che derivano dal connubio tra televisione e partiti. La signora Renata era una tizia qualunque. Guidava un piccolo sindacato di destra, erede della Cisnal missina. È diventata una star quando un reuccio dei talk show rossi, il Floris di Ballarò, ha cominciato a invitarla alle sue serate. Attenzione: non stiamo parlando di una tivù privata, ma della Rai che si regge, male, sui soldi di chi paga il canone.  A spese della tassa televisiva, Floris ha costruito il personaggio della Polverini. Perché lo ha fatto? Vai a capirlo. Puntata dopo puntata, la signora sindacalista è divenuta un'eroina del dibattito politico. Berlusconi, che ritiene la tivù una fabbrica di eccellenze, l'ha spedita alla presidenza del Lazio. Pagando, si presume, una parte cospicua del gigantesco costo della campagna elettorale. Sette milioni di euro! Ossia quattordici miliardi delle vecchie lire. L'ha confessato lei a Piazzapulita, quando a interrogarla ha provveduto Corrado Formigli, un signore per fortuna più duro di quel chierichetto da oratorio rosso del Giovanni Floris.  Il Cavaliere ha ordinato a madama Polverini di non dimettersi. E la sciagurata ha obbedito. Senza tener conto di una regola che nel centrodestra dovrebbero ficcarsi in testa: mai seguire i consigli o dire di sì agli ordini del Berlusconi 2012. Il grande Silvio non esiste più, al suo posto c'è un vecchietto di 76 anni, uno in meno del vecchietto Pansa, che le sta sbagliando tutte.  Ho molta comprensione per il Cavaliere. Noi signori anziani non vogliamo mai mollare il mazzo di carte che abbiamo sempre tenuto in mano. Ma un conto è dedicarsi a una professione privata e senza potere, come quella del giornalista. E un conto tutto diverso è guidare un partito che non esiste più, nella speranza di farlo uscire dalla tomba. Miracolo riuscito una volta sola a Gesù Cristo con un tizio chiamato Lazzaro. Guardate che cosa sta avvenendo. Mentre il Berlusca medita se scendere in campo di nuovo, il campo gli viene portato via dalle inchieste giudiziarie, dalle perquisizioni della Guardia di finanza, dagli scoop dei giornali. Il Cavaliere, un campione mondiale dell'ottimismo, spera ancora nelle elezioni del 2013. Ma siamo sicuri che si possano tenere? E che l'intera baracca dei partiti non crolli prima che i seggi vengano aperti?  È una domanda legittima se consideriamo quanto sta accadendo anche a sinistra. Ho passato gran parte della mia vita professionale a raccontare le avventure del Pci e poi di tutte le parrocchie nate sulle rovine delle Botteghe oscure. I cambi di insegna, il succedersi dei leader, le scissioni ripetute, i governi rossi o rosa messi in sella e poi accoppati dalle sanguinose risse interne. Ma un disastro uguale a quello del Partito democratico non l'avevo mai visto. Quanto avviene nella ditta Bersani & C. mi sembra un filmaccio di fantapolitica girato da un regista pazzo. Diamogli un'occhiata. Nell'autunno del 2012 la sinistra italiana appare avviata a una vittoria elettorale. Più per colpa del centrodestra che per merito suo. Comunque, anche gli osservatori più cauti non possono non registrare che le bandiere del Pd sono a un passo dallo svettare su Palazzo Chigi.  Invece che cosa capita? I democratici debbono tenere le primarie per la scelta del futuro capo del governo. Ma sull'intera faccenda incombe il mistero più fitto. A poche settimane da questo esercizio di democrazia, così ci viene presentato, non esiste ancora un regolamento, non si conosce la data del voto, non si sa nulla a proposito di due punti cruciali: quanti potranno essere i candidati e se dovranno risultare primarie di partito o di coalizione. Anche su questa ipotetica coalizione di centrosinistra il buio è sempre totale.  Chi andrà al voto politico insieme a Bersani? Sarà Nichi Vendola? Oppure arriverà Pier Ferdinando Casini? Verrà imbarcato pure quello scassapagliai di Tonino Di Pietro, o la foto di Vasto rimarrà tra i rifiuti della storia? La stessa solfa vale per il programma. Si dovrà continuare nel solco tracciato da Mario Monti, anche senza Monti? Oppure, come urlacchia Vendola, sarà un dovere irrinunciabile fare tutto il contrario rispetto al governo dei tecnici? Ecco un altro enigma che Bersani per ora non scioglie. L'unica decisione che dichiara di voler prendere riguarda la famosa patrimoniale. Però non si dice chi ne verrebbe colpito. Lo slogan recita: anche i ricchi devono piangere. Ma chi sono i ricchi da punire? Come al solito quelli che hanno sempre pagato le tasse? Pure nel centrosinistra tira un'ariaccia da 8 settembre. E risulta fatale che molti elettori rossi o rosa siano tentati di votare per Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze deve ancora spiegare bene che cosa farà se vince. Tuttavia non è un'anticaglia come tanti big democratici. Sono tentato di votarlo anch'io che non vado al seggio elettorale da qualche anno. Purtroppo, il Renzi non lo faranno vincere. Piuttosto lo azzopperanno prima. Nel frattempo, la rabbia dell'italiano qualunque sta diventando un urlo che non si quieta mai e ogni giorno si leva sempre più forte. A torto o a ragione, i Signori Nessuno, che sono pur sempre il nerbo della società, vogliono vedere i politici appesi a un nuovo Piazzale Loreto. E per riuscirci sembrano disposti a tutto. Anche a votare per Beppe Grillo.  Concludo con un esercizio di futurologia. Grillo stravince e fa il governo. Nel giro di qualche mese l'Italia si sfascia. Ma forse succede prima. Quando Grillo è da pochi giorni a Palazzo Chigi, si svegliano i militari, i mitici colonnelli. Ossia i carabinieri, la polizia, la Guardia di finanza, i reparti speciali dell'esercito. Tutti professionisti malpagati. E sempre snobbati dalla Casta. Che cosa fanno a quel punto? Non voglio neppure immaginarlo.  Un giorno, un politico saggio, forse era democristiano, disse: «Temete l'ira dei calmi». Speriamo che i calmi non indossino una divisa. E invece della scheda elettorale non imbraccino il fucile.    

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