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Le Province inutilisono (quasi) tutte rosse

Matteo Legnani
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  Il governo di Mario Monti ha messo nel sacco il povero Pier Luigi Bersani con il decreto sulla spending review uscito da palazzo Chigi nel cuore della notte fra giovedì e venerdì. Al povero segretario del Pd è venuto uno stranguglione quando ha letto l'articolo che finalmente riduce quasi della metà le province italiane, e soprattutto scorrendo la lista delle vittime sacrificali destinate a sparire entro pochi mesi. Sono dieci infatti le città metropolitane che assorbiranno i ruoli delle province con il loro nome e 48 quelle destinate a sparire perché non rispettano due dei tre criteri che le terrebbero ancora in esistenza. Quattro di queste sono già  in via di spegnimento in mano a una gestione commissariale che già le stava portando verso i nuovi criteri di unioni di comuni. Delle 44 che restano ben 28 sono oggi guidate da un presidente di provincia del Pd. Se si aggiungono le città metropolitane, i presidenti del Pd cancellati dalla geografia politico-istituzionale italiana diventano 34 su 54. Il resto è suddiviso fra Pdl (16), Lega (3) e una lista civica. Una strage rossa in piena regola, ancora più evidente se si va a scorrere la lista delle province che salteranno. In Emilia via otto province compresa Bologna, che verrà assorbita dalla città metropolitana. Delle otto solo una è ancora amministrata dal Pdl (Piacenza). In Toscana spariscono dieci province, come se Monti avesse utilizzato il Napalm. Sono tutte amministrate dal Pd. Fra queste anche Firenze, che verrà assorbita nella città metropolitana. Saltano anche tre province delle Marche (due Pd e una Pdl), una Pd in Umbria e tre province nella regione rossa che si è aggiunta da qualche anno: la Puglia (ma una è amministrata ancora dal Pdl).  Non è un caso se la battaglia per l'abolizione delle province in questi anni sia nata e cresciuta soprattutto nell'elettorato di centrodestra, e anche per questo inserita nei programmi elettorali del Pdl. L'elettorato di centrosinistra, ma soprattutto la classe di mandarini che guida ancora quei partiti si è sempre decisamente tenuta lontano da quella battaglia. C'è voluto il superconsulente per la spending review, Enrico Bondi, per chiarire le vere ragioni di quel mistero. Le province più inutili e in grado di sprecare soldi dei contribuenti per funzioni inventate ad hoc e spesso in sovrapposizione con altri livelli di governo sono proprio quelle delle regioni rosse, che da lustri sono governate da esponenti del partito di Bersani e delle formazioni politiche antenate. Una classe dirigente che è divenuta casta alimentandosi e prosperando allegramente sulla spesa pubblica più inutile e improduttiva, ma che ora non ingoierà facilmente il rospo inserito in quel decreto legge. Tanto più che Monti ha imposto un ritmo piuttosto rapido per celebrare quei funerali rossi: entro il 17 luglio il governo stilerà l'elenco definitivo delle province destinate ad essere soppresse e accorpate ad altre, ed entro il prossimo 31 dicembre il loro funerale dovrà essere celebrato e la sepoltura istituzionale effettuata. La casta del Pd sta giocandosi le ultime carte a disposizione per uscire dalla lista di proscrizione facendo pressing sul proprio segretario. Il povero Bersani non sa che pesci prendere: da una parte ha coscienza della scarsa popolarità delle province nell'opinione pubblica, e gli è chiaro che non può spendersi pubblicamente per salvarne questa o quella. Molto più semplice gridare sul taglio dei posti letto ospedalieri. Dall'altra parte però avere la fila di prossimi ex presidenti ed ex assessori rossi alla sua porta in cerca di una candidatura riparatrice alle prossime elezioni politiche, può rappresentare per Bersani un problema ben maggiore. Ed ha davvero pochissimi giorni per fare la scelta. di Franco Bechis  

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