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Monti dà carezze alla Forneroe prende a ceffoni Passera

Mario si tiene stretta Elsa, mentre censura il collega sulle cifre dello sviluppo: "Sono stime sue"

Andrea Tempestini
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Lo dice due volte, casomai qualcuno non avesse capito. «Il ministro Fornero», scandisce Mario Monti, «non mi ha offerto le dimissioni. E comunque le avrei respinte». Nel teatro Arena del Sole, dove Eugenio Scalfari, Fondatore, lo intervista col direttore di Repubblica Ezio Mauro, il presidente del Consiglio come sempre calibra parole e movimenti. Un auto-controllo che racconta di aver raccomandato anche ai suoi ministri: «Ho detto loro: dimenticate di avere muscoli facciali». E allora tanto più colpisce il distinguo di trattamento che fa parlando di un altro ministro: Corrado Passera. A proposito del decreto per lo Sviluppo, Scalfari cita gli 80 miliardi che sarebbero messi in moto. Il premier: «Mah. Ottanta miliardi è la stima che il ministro Passera ha fatto in conferenza stampa, ma è una cifra che non abbiamo incluso nel comunicato». Questo perché «la crescita non è solo il frutto di soldi», ma «l'esito di riforme strutturali» e di lotta a «monopoli e corporazioni». Intanto, però, Passera è sistemato.  L'incontro era iniziato dalla domanda che all'inizio della festa di Repubblica gli aveva rivolto Roberto Benigni: ce la faremo? Cosa dice la Merkel? «Ce la faremo e ce la stiamo facendo. La Merkel dice che l'Italia ce la fa. Ma l'Italia ce la fa non perché lo dice la Merkel». Citando Tommaso Padoa-Schioppa ha criticato la «vista corta» che per troppo tempo è stato l'orizzonte dei governi italiani. Ma ha anche ammesso che lui stesso, dopo aver tante volte teorizzato la necessità di una vista lunga, si trova a dover «gestire l'emergenza». Sulla Grecia, dove oggi si svolgono le elezioni, Monti ha detto di aspettarsi un voto che «punti a mantenerla in Europa» pur con una «rinegoziazione» delle condizioni chieste dagli organismi comunitari. «Penso, ma lo dico da privato cittadino, che l'Europa potrebbe considerare delle dilazioni». E a proposito dei sacrifici che anche il nostro Paese sta facendo ha rivelato che all'inizio, quando si è insediato al governo, «mi veniva autorevolmente consigliato da grandi Paesi europei e dagli Stati Uniti di accettare aiuti dall'Fmi, di non pensare di farcela da soli». Ma avrebbe significato accettare che una «troika» commissariasse governo e Parlamento. «Io preferisco che l'Italia sia governata da italiani». E anche se ha definito «penoso» lo sforzo chiesto ai cittadini, vede «spiragli per uscire dalla crisi».  Come? Anzitutto facendo ripartire la crescita, ma non chiamatela «fase due», perché la filosofia è la stessa dell'inizio: risanamento e crescita. E se qualche professore, vedi Tito Boeri (firma di Repubblica che attaccava l'esecutivo) «non risparmia critiche al mio governo, un altro professore, Pietro Ichino, ha definito la riforma del mercato del lavoro, pur con imperfezioni, “una svolta epocale”. Come vedete il pensiero bocconiano non è unico».  Né ha risparmiato punture di spillo ai partiti. Soprattutto al Pdl. A un certo punto scivola: «Governare è un esercizio ginnico-mentale interessante. Se un giorno dovessi rinascere la Dc sarei abbastanza addestrato per essere vice, vice segretario». Poi ricorda le parole di un deputato, il giorno del suo primo discorso alle Camere: «La ringrazio perché per la prima volta mi sento interpellato. Non saranno più i segretari di partito che dominano». Quanto al peccato d'origine del suo governo, il fatto di essere stato nominato dal presidente della Repubblica con un atto che, come ha osservato Scalfari, è una «innovazione nella Costituzione materiale», Monti ha detto di sentirsi «la responsabilità di fare andare a buon fine quell'esperimento». In ogni caso il suo governo, non legittimato da un'elezione, «ha sempre consultato le parti sociali nelle scelte più importanti». Ma poi «abbiamo deciso». Perché questa è la sua filosofia: che «i poteri siano davvero pubblici, non piegati a interessi di parte, e che però siano poteri».  Riguardo agli esodati ha riconosciuto che «è una delle che ha messo più in difficoltà il governo, ha creato sconcerto nell'opinione pubblica». Ma ha difeso, anche qui, il ministro Fornero, a cui «sono state fornite» le cifre che ha detto. Non ha voluto fare promesse, ma ha detto di «sentire l'impegno ad avere al più presto una ricognizione per quanto possibile realistica e prevedere provvedimenti conseguenti». Quanto alla riforma del mercato del lavoro, invece, è tornato a sollecitare i partiti ad approvarla al più presto. «Io devo arrivare al Consiglio europeo del 28 e 29 giugno con quella legge approvata». Che fine farà il disegno di legge sulla corruzione? Risposta, a proposito di Dc, molto andreottiana: «Un disegno di legge è fatto per diventare legge».  di Elisa Calessi

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