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I Prof perdono la facciasul decreto anticorruzione

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Il governo non riesce a presentare il maxi-emendamento. Poi il ripiego: oggi si voteranno tre fiducie. Pdl accusa: nel testo c'è salva-Penati

Lucia Esposito
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Il fallimento dell'esecutivo sta tutto nelle parole di Piero Giarda: «Il governo non è riuscito a onorare i suoi impegni». Nell'Aula di Montecitorio sono le undici di mattina e in discussione c'è il disegno di legge anti-corruzione. L'attesa è tutta per il maxi-emendamento annunciato il giorno prima dal ministro dei Rapporti con il Parlamento per uscire dallo stallo in cui si è cacciato il Guardasigilli, Paola Severino. Solo che il testo sul quale poi porre la fiducia per superare i veti incrociati nella maggioranza ancora non c'è. «Nonostante le promesse fatte sono costretto a chiedere un congruo spostamento dei tempi per la continuazione dell'iter del provvedimento», ammette Giarda. Parole che provocano la reazione di Gianfranco Fini, presidente dell'assemblea, per il quale l'indecisione del governo «mortifica il ruolo della Camera». Uno scontro che prelude al definitivo dietrofront dell'esecutivo: niente più maxi-emendamento, ma tre distinti voti di fiducia - oggi - su altrettanti articoli del ddl anti-corruzione. E tra questi c'è, attacca il Pdl, «una norma ad personam salva-Penati». L'indecisione di Giarda è figlia dell'impasse in cui si trova la collega Severino, impossibilitata a trovare un accordo con i partiti della maggioranza. Nella riunione che va in scena nella sala del governo la sintesi non si trova. Troppe le divergenze con il Pdl sulla parte penale, in primis sull'«induzione indebita a dare o promettere altra utilità», ovvero il reato che ricadrebbe su Silvio Berlusconi per il “caso Ruby”. I tecnici pdl, infatti, avrebbero rilanciato chiedendo al Pd di rinunciare all'aumento delle pene per la «corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio», proposta respinta da Dario Franceschini. Se fiducia deve essere, alza il muro il capogruppo del Pd, l'«unica possibilità» è quella di apporla sul testo uscito dalle commissioni. Al ministro Severino non resta che piegarsi: sì al maxi-emendamento, ma sull'articolato delle commissioni Giustizia e Affari costituzionali. Peccato però che un provvedimento, come fa notare il vicepresidente pdl della Camera Maurizio Lupi, «per giustificare il ricorso al maxi-emendamento» debba contenere «sostanziali modifiche» e non solo «semplici coordinamenti formali». Da qui il nuovo colpo di scena: maxi-emendamento nel cestino e richiesta di porre per tre volte la fiducia su altrettanti articoli del disegno di legge: il 10 sull'incandidabilità dei condannati; il 13 sulle norme penali che prevedono l'istituzione di nuovi reati come il traffico di influenze; il 14 sulla corruzione tra privati. Così a stretto giro di posta la conferenza dei capigruppo di Montecitorio riscrive il calendario dell'Aula: i tre voti di fiducia andranno in scena oggi rispettivamente alle 12, alle 15 e alle 18. Il voto finale è previsto per giovedì. Il Guardasigilli Severino fa di tutto per minimizzare i passi indietro del governo: la fiducia, afferma, è l'«unico strumento per portare avanti il provvedimento». Quanto alla bacchettata di Fini, «non è stato sollevato un problema di merito, ma formale». Insomma, «un peccato veniale, non mortale». Serenità cui fa da contrappeso il nervosismo di Giarda, stizzito per il richiamo del presidente della Camera - «che volete che sia un ritardo di due ore nella vita politica del Paese che ha una tradizione di oltre 2mila anni» - e per la necessità di recitare il mea culpa: «Il testo presentava problemi di ammissibilità, avrei dovuto avere l'intuizione di porre la fiducia su tre articoli separati». Il Pdl affila le armi. Se Fabrizio Cicchitto, capogruppo alla Camera, annuncia il triplice sì alla fiducia «solo per senso di responsabilità» auspicando che «alcune formulazioni siano cambiate al Senato», i mal di pancia non mancano. Il più significativo lo esterna la senatrice Simona Vicari, che nelle pieghe del provvedimento governativo scova uno sconto ritagliato su misura per Filippo Penati, l'ex presidente della Provincia di Milano: «Il nuovo reato di induzione indebita in realtà nasconde una riduzione di pena. Da un minimo di quattro anni a un massimo di dodici previsto dalla vecchia concussione ad induzione, infatti, si passa ad un massimo di dieci anni. Quindi il reato contestato a Penati, commesso nel 2002, si prescriverà nel 2012». Al contrario è impossibile, aggiunge, «che la nuova formulazione si applichi a Silvio Berlusconi». Oggi il malumore potrebbe causare un'emorragia di consensi per l'esecutivo. «Non è escluso che singoli deputati non seguano la linea», avvertono dal Pdl. Luca d'Alessandro, ad esempio, ha già annunciato che non sarà in Aula. Così Severino si gioca l'ultima carta offrendo al Pdl la possibilità di modifiche al Senato: "Sarà il luogo in cui discutere".  Tommaso Montesano

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