Diamo un merito a Beppe Grillo: aver messo fifa a Di Pietro
Per anni il leader Idv è andato a braccetto con il comico sfruttandone le bordate. Ma ora Beppe fa sul serio e Tonino soffre
Già non si erano pigliati allora, nei tardi anni Ottanta, quando il giovane pm Antonio Di Pietro si ritrovò sul tavolo una denuncia di Beppe Grillo: il comico aveva vinto un ricorso contro i giochini acchiappa-lettori diffusi da Repubblica e Corriere (Portfolio e Replay) ma Di Pietro aveva archiviato subito: del resto c'era da immaginare quanto spazio i due giornali avrebbero riservato a un'inchiesta che li riguardava. Ora, dopo un sodalizio lungo quanto ambiguo, rompono di nuovo: e non è solo che inseguono gli stessi elettori e la stessa demagogia, è che, in definitiva, Grillo è antipolitica e Di Pietro è politica, uno è ancora fuori dal meccanismo - nonostante quattro gatti di consiglieri comunali - e l'altro c'è dentro sino al collo. Di Pietro può metterla come vuole, ma lui piglia i soldi mentre l'altro no. Ecco perché il punto di non ritorno forse è stato a «Piazza Pulita» del 12 aprile scorso: per tutta la sera Di Pietro aveva sbraitato contro i soldi del finanziamento pubblico - che lui ha sempre incassati sino all'ultima lira, pur «protestando» - e Grillo gli aveva risposto indirettamente in un servizio registrato: «Non devi fare un decreto legge per non prendere i rimborsi: basta tirare fuori il portafoglio, fare un assegno, restituire quelli che hai preso e dire “il mio partito non li prenderà più”». E Di Pietro paonazzo, nervoso: un paio di giorni dopo ha annunciato che avrebbe rinunciato ai soldi (a una tranche, almeno) e probabilmente ha capito che la gara dei duri e puri, con Grillo, era persa. Attendeva l'incidente, ed eccolo: «Io critico ma voglio costruire un'alternativa», sparava, «mentre Grillo mira a sfasciare tutto e basta». Zelig politico - Una barzelletta, oltretutto: perché pare evidente che nel pubblico immaginario «l'alternativa» offerta da Di Pietro sono ancora le manette, sorry. Per forza. Tutto il resto era Zelig - in vari sensi - e soprattutto trasformismo dipietresco, a partire più o meno dal 2006 quando rifiorì una trasversalità che associava satira & politica & giornalismo: con Grillo, anzitutto, ma poi con Sabina Guzzanti, Michele Santoro, Marco Travaglio eccetera. La verve si fece meno comica e più comiziante, mentre il cemento, manco a dirlo, fu l'anti-berlusconismo, un genere che tirava e che offriva a ciascuno tornaconti diversi. Tonino, che pescava dove poteva e se possibile con la canna altrui, si unì a una compagnia che si incaricò di avvelenare i pozzi ovunque si fosse deviato da un clima eternamente frontista: i migliori andavano divisi dai peggiori, la libertà dal regime, la democrazia da Berlusconi, la magistratura dalla politica. L'incontro tra Di Pietro e Grillo nasce da qui e, un pizzico, da internet: l'ex magistrato, il 30 gennaio 2006, annunciò la nascita del suo blog sulla falsariga di quello di Beppe Grillo, tanto che contattò anche lo stesso consulente informatico, Gianroberto Casaleggio. Poi uscì il libro «La casta» di Stella e Rizzo che Grillo lesse facendone un manifesto di resurrezione: anche da qui nacque l'idea del «v-day», primo appuntamento per l'8 settembre 2007 a Bologna e in cento altre piazze italiane: una manifestazione che dapprima non fu chiara neppure a lui ma dove si parlò di cacciare i condannati dal Parlamento, organizzare banchetti, fare, abrogare: per Di Pietro era più che sufficiente. Si buttò a pesce, anche perché nell'arrivare secondo restava sicuramente il primo. E infatti, nel V-day, un solo politico fu risparmiato: Di Pietro. «È una persona per bene», disse Grillo, mi mette in ansia quando parla, ma poi dice le cose come vanno». L'allora ministro delle Infrastrutture ricambiò mettendoci il cappellone: «Sono orgoglioso come rappresentante di una forza politica che si è adoperata per la validazione delle firme». Tonino multiforme - Tonino il multiforme, di lì in poi, non perse occasione per pavoneggiarsi coi grillini a ogni occasione. Tutto farà al gioco suo. Era ministro ma tuonava contro il governo («Ce l'hanno con me perché ho preso parte al V-Day») e accusò l'allora presidente della Camera Fausto Bertinotti di non aver messo in calendario una sua fantasmatica proposta di ineleggibilità dei parlamentari. In un'intervista a Panorama attaccò addirittura Prodi: «Deve fare un passo indietro: la gente non ha più stima di questo governo... Ci vogliono facce nuove, aria nuova. I ministri sono troppi e inutili». Lui era ministro. Grillo, intanto, annunciava che sarebbe andato alla Festa dei Valori. Tonino l'anfibio era l'unico politico che non stava precipitando nei sondaggi. In realtà le distanze tra Di Pietro e Grillo, soprattutto sui temi ambientali, restavano siderali: ma era un problema secondario perché Di Pietro non aveva nessuna vera posizione su niente. Sul nucleare, per dire, era stato possibilista. Poi, il 25 ottobre 2007, quando i verdi presentarono un emendamento per sopprimere la società Stretto di Messina, Di Pietro ricorse ai voti del centrodestra e la maggioranza andò sotto. La società fu salva. Tonino si tenne il ponte ma non Franca Rame, che lasciò il movimento. «Ecco l'uomo nuovo di Beppe Grillo» chiosò Franco Giordano di Rifondazione comunista. Ma poi, nel pieno della campagna per le elezioni europee, Di Pietro cambiò subito idea: «Berlusconi rinunci alla realizzazione dell'inutile ponte di Messina... ci sono emergenze più importanti del ponte... come quella idrica, ambientale, delle energie rinnovabili». Un grillino perfetto. Lo scippo di idee - Poi scippò un'altra idea a Micromega di Paolo Flores D'Arcais: un «No Cav day». Così nacque la kermesse di Piazza Navona, con Beppe Grillo che attaccò il capo dello Stato e Sabina Guzzanti che se la prese con il Papa, descritto come sodomizzato all'inferno. Un sondaggio dell'Espresso disse che Di Pietro era «il più attivo nell'opposizione a Berlusconi». Walter Veltroni si sbracciava: «Di Pietro scelga se stare con Grillo e con Travaglio, la piazza che insulta». Ma di Veltroni, a Di Pietro, non gliene fregava niente. Una ricerca dell'Ipso di Mannheimer diceva che il 48,8 per cento degli elettori del Partito democratico aveva approvato la manifestazione di Piazza Navona, mentre un sondaggio dell'Ipr Marketing sulla fiducia raccolta dai leader vedeva Berlusconi al 50 per cento, Veltroni al 30 e Di Pietro al 48 per cento. Aveva trasmutato il girotondismo, accolto pezzi di Pd, pezzi di Bertinotti, sinistrume vario, movimentismi, travaglismi ma ora, soprattutto, quel Beppe Grillo che aveva un seguito da paura e che si faceva abbastanza gli affari suoi. Purché non scendesse in politica direttamente: ma ora Grillo l'ha fatto. E non prende soldi pubblici, Di Pietro sì. Non ha figli e famigli in politica, Di Pietro sì. Non ha candidato inquisiti, Di Pietro sì, anzi, Grillo ha esplicitamente detto che «nel partito di Di Pietro ci sono personaggi equivoci». Grillo non è candidato, Di Pietro ha già accumulato cinque mandati ed è in politica da 17 anni. Insomma, era fisiologico che rompessero. Conviene a Grillo, oltretutto. Ma a Di Pietro piace sempre giocare d'anticipo. di Filippo Facci