Infuria la polemica su un documento che credo debba essere posto nella giusta luce. È vero che occorre contestualizzare ogni testimonianza storica e che il Manifesto di Ventotene risente del clima del 1941 e anche della «spinta propulsiva» di un Manifesto di 93 anni prima. La scarsa fiducia nella democrazia era moneta corrente fra fascisti e antifascisti, fra cattolici e liberali, comunisti e socialisti. La convinzione che solo le avanguardie illuminate avrebbero potuto prendere per mano la storia e portarla dove occorreva che andasse, per il bene naturalmente di tutti, era ancora più diffusa. Il fatto è, però, che quel documento non sta solo nella storia, ma è l’atto costitutivo di una religione civile di nome “europeismo”. Il dogma cruciale di questa fede è che l’ideale “Europa unita” deve diventare indiscutibile, un valore ultimo sottratto all’analisi razionale. I fedeli possono ragionare solo sui mezzi migliori per raggiungere la meta (Spinelli disse in che nel Manifesto erano state sbagliate molte previsioni, mai mise in discussione lo scopo finale).
Come nel cristianesimo la salvezza delle anime è il fine supremo e si discute sugli strumenti- opere, fede, graziacosì nella liturgia europeista si invoca il collasso degli Stati nazionali e la centralizzazione in modo non certo univoco. La creazione di un Super Stato europeo potrà avvenire per mezzo di progressivi trasferimenti di sovranità o attraverso un unico decreto delle élite al comando, ma nulla di meno dell’accentramento di ogni affare di governo al più alto livello continentale sazierà gli appetiti dei credenti. L’europeismo presenta anche alcuni aspetti che lo accostano al marxismo, anche dal punto di vista metodologico. Come ogni vera ideologia che si rispetti, si sottrae fin da subito a qualunque discussione storica e teorica, segnalando una sola spiegazione dei guai europei e mondiali: la frammentazione in Stati nazionali. E se l’interlocutore sostiene che un ordine politico unico esteso a tutta l’Europa segnerebbe la fine della libertà, che prospera solo in uno spazio senza impero, ecco che la sua posizione viene subito smascherata come quella di un nazionalista sovranista, apologeta dell’esistente e para fascista. Le origini della confessione europeista sono sul finire del Settecento: infatti, niente Kant, niente Ventotene.
Nel 1795 il filosofo Immanuel Kant pubblicò il suo scritto politico più noto: “Per la Pace Perpetua”. Si tratta delle direttrici teoriche per la costruzione di una federazione europea e poi mondiale che avrebbe garantito la pace per l’eternità. Se la pace si trovava negli interstizi della Storia e si fondava sulla “politica dell’equilibrio”, una pace duratura poteva nascere solo con l’innalzamento della sovranità al livello più alto. Kant riconosceva lo Stato come risolutore dei conflitti interni e voleva che l’involucro del diritto statuale ricoprisse il globo terracqueo. La via alla pacificazione era quella statuale, ma l’ambito della legge doveva diventare planetario. «Stato di Stati» fatto di «libere repubbliche» a controllo popolare: confederazione o federazione poco importa, purché fondata sul dominio della legge e del diritto quale garanzia ultima di pace. Ma la gloria e la libertà d’Europa, con buona pace dei kant-spinelliani, nonché la vera fonte della sua prosperità, stanno proprio nell’equilibrio delle potenze, ossia nel fatto che la creazione di un vasto impero universale è il più importante “non evento” della nostra storia. Da un millennio e mezzo è proprio questo lo specifico dell’Occidente: vi è stata la polis, poi la Repubblica e Roma imperiale, ma dal 476 a oggi tutti i tentativi di fondare un impero universale in Europa - da Carlo Magno, a Carlo V, a Napoleone, a Hitler, alla più modesta Ursula- sono miseramente falliti e non si è mai neppure avviata la costruzione di un ordine politico europeo centralizzato. Kant sul punto era chiarissimo: cosa si fa con chi non vuole far parte della repubblica mondiale? Gli si dichiara guerra e lo si conquista, ossia lo si obbliga ad essere libero. Per comprendere l’europeismo - fenomeno di nessuna rilevanza popolare, ma ben diffuso fra gli intellettuali non solo in Italia - abbiamo assai più da imparare dal raffronto con cristianesimo e marxismo, che non dai testi sacri di questa religione civile.