Un cold case da ottanta anni nella ghiacciaia della storia, con un enigma avvolto da un mistero. In attesa che l’ex Partito comunista italiano e i suoi derivati contemporanei decidano finalmente di sbrinare il frigorifero segreto di partito e rivelare ufficialmente quello che in buona parte si sa, è adesso Roberto Festorazzi a mettere alcuni punti fermi sui torbidi della primavera-estate del 1945: chi ha davvero ucciso Benito Mussolini il 28 aprile davanti al Villa Belmonte a Giulino di Mezzegra, e chi e perché ha dato ordine di assassinare Luigi Canali, il capitano “Neri” ex vice comandante della 52ª Brigata d’assalto Garibaldi “Luigi Clerici”? I due gialli sono strettamente correlati, a partire dal fatto che la raffica che falciò il Duce e Claretta Petacci non partì dal Mas cal. 7.65 del capitano “Valeri”, ovvero Valter Audisio, bensì dal Mab 38 cal. 9 di “Neri”. È quanto sostiene Festorazzi nel volume L’uomo che uccise Mussolini. Vita tragica di Luigi Canali (pp. 288, Macchione, Varese 2025), una ricostruzione che inserisce un cuneo in profondità sulla versione diffusa e ricalibrata su reticenze, zone d’ombra e misteri a tinte rosso-nere, con sullo sfondo i bagliori dell’oro di Dongo. L’autore ha rimesso a posto alcuni tasselli di un mosaico nebuloso, grazie a una documentazione inedita conservata dalla famiglia Canali fino al 2016 e a lui consegnata: «Carte originali e inedite che gettano luce su un groviglio di verità sconvolgenti». Festorazzi definisce il dossier e il memoriale di Alice Canali, sorella minore di Luigi, «materiali ultrasensibili che raccontano l’indicibile tragedia umana, politica, del capitano “Neri”, il quale assume, attraverso l’acquisizione di questi documenti intimi, privati, una dimensione e una rilevanza, finora ignorate».
IL TRADIMENTO Comasco, comunista, ex combattente nella guerra d’Etiopia e nella Campagna di Russia e poi partigiano di vertice, “Neri” viene arrestato a Lezzeno sul Lago di Como dalle Brigate Nere nella notte tra il 6 e il 7 gennaio 1945 per una delazione. I familiari non hanno mai avuto alcun dubbio su chi avesse imbeccato i fascisti, puntando l’indice contro la moglie Giovanna Martinelli, per gelosia nei confronti della staffetta “Gianna”, ovvero Giuseppina Tuissi catturata assieme a lui. Interrogatori, torture e poi un’evasione avventurosa dal carcere di Como Borghi il 29. Il Partito comunista è invece convinto che “Neri” abbia parlato; avendolo già rimosso da vicecomandante di Raggruppamento divisionale delle Brigate Garibaldi, in un classico processo stalinista emana a Milano una direttiva, diffusa a tutte le formazioni combattenti, di immeditata fucilazione di Canali e Tuissi, sotto la pesante accusa di delazione e tradimento. Eppure ritroviamo il trentatreenne capitano nell’ultimo atto del fascismo, con la cattura di Benito Mussolini che cercava un’improbabile salvezza personale camuffato da caporale tedesco, e al momento della sua uccisione, espiatoria di una tragedia nazionale, di una guerra combattuta dal lato sbagliato della storia e malamente perduta e di seicento giorni di guerra civile. Nella ricostruzione di Festorazzi è “Neri” a sparare la raffica letale davanti al muretto di Villa Belmonte, secondo la versione più accreditata, dopo che la pistola mitragliatrice di Walter Audisio “Valerio” si è inceppata, con una ricollocazione fisica e temporale dei personaggi che si muovono in una vicenda che il Pci ha raccontato con reticenze, aggiustamenti e silenzi, tanto da dare un nome “ufficiale” al giustiziere di Mussolini solo nel 1947 ma non dissipando le nubi sulla verità storica. Che si intreccia agli ultimi giorni di vita di “Neri”. Ai primi di maggio nella cucina di casa Bianchi, a Como, viene inventariato parte del tesoro di Dongo incamerato dai comunisti, quello “dirottato” su ordine di Michele Moretti “Pietro Gatti”. Eleonora Bianchi, all’epoca tredicenne, ha testimoniato di aver personalmente assistito all’inventario del contenuto dei sacchi: «Tanti gioielli, anelli, bracciali, spille, collier, ma niente banconote o monete d’oro. Alcuni sacchi erano pieni di vere nuziali. Erano pesanti, perché, con fatica, ne trasportai anch’io un paio per caricarli in macchina. Erano presenti, oltre a me, mio padre, mia sorella, Dante Gorreri, Dante Ceruti, tesoriere della Federazione comunista, Remo Mentasti e Michele Moretti. (...) L’intero carico partì da casa mia, su un’Ardea grigia. Era diretto alla Casa del Fascio, ma lì non arrivò mai, oppure, se vi giunse, sparì subito ripartendo per altra destinazione, probabilmente Milano». Il padre e la sorella di Eleonora, Annamaria, saranno uccisi, lei sarà minacciata quando verrà costretta a consegnare la lista con l’inventario, il fratello Giulio arrestato. Il 7 maggio “Neri” viene ucciso a Milano da «una squadra speciale di sicari agli ordini di Luigi Longo, numero due del Pci e comandante supremo delle Brigate Garibaldi».
LA CONFIDENZA Pier Luigi Bellini delle Stelle, “Pedro”, comandante della 52ª Brigata Garibaldi riceverà la confidenza di aver ricevuto l’ordine verbale di eliminare Canali da Dionisio Gambaruto “Nicola”, e questi lo rivendicherà pubblicamente a Como, nel 1947 durante un comizio di Luigi Longo al cospetto della madre di “Neri”, Maddalena Zannoni. Palmiro Togliatti si laverà le mani della vicenda e non risponderà mai alle sue richieste di verità e di giustizia. Quanto a “Gianna”, non si era arresa davanti all’omicidio di “Neri” e aveva condotto una sua personale indagine interrotta drammaticamente il 23 giugno, giorno del suo ventiduesimo compleanno: catturata da alcuni sicari venne uccisa e il suo corpo scaraventato giù dalla scogliera del Pizzo di Cernobbio, a picco sul lago. «Insieme avevano gestito i trasferimenti del prigioniero Mussolini – chiosa Festorazzi – e insieme avevano contabilizzato l’oro di Dongo, poi incamerato dal Pci. La Tuissi certamente era anche a conoscenza della verità sulle modalità della fucilazione del Duce, atto cruento cui partecipò, come attore protagonista, Luigi Canali». Chi sapeva a Botteghe Oscure non ha parlato, e chi ha saputo ha continuato a tacere.