Commissione bicamerale d’inchiesta sulla scomparsa della sorella e di Emanuela Orlandi. Maria Antonietta, quando Mirella sparisce a Roma, il 7 maggio 1983, aveva 17 anni, due più della sorella 15enne. Oggi è una donna di 59 anni che gestisce il bar di famiglia, lo stesso che i genitori gestivano allora, in via Volturno, a due passi dalla stazione Termini. Sua madre è morta da 29 anni, suo padre da 20. Mirella, da quel pomeriggio in cui uscì da casa senza chiavi e senza documenti per salutare l’amico – ed ex compagno di scuola media – Alessandro, non è più risalita. Tre mesi dopo, in quell’estate del 1983, Mirella sarebbe diventata «l’altra ragazza scomparsa», legata al destino della coetanea Emanuela Orlandi, la “ragazza con la fascetta” cittadina vaticana inghiottita anch’essa nel nulla qualche settimana più tardi, il 22 giugno 1983. E i cui manifesti con la richiesta di aiuto della famiglia apparvero nella Capitale il successivo 1° luglio. Ecco, se c’è un punto da cui partire per provare a capire che cosa sia accaduto a Mirella dopo che anche il Parlamento, il 9 maggio dello scorso anno, ha iniziato a indagare, è proprio l’accostamento tra le due vicende.
A causa del quale Mirella è finita nel cono d’ombra di Emanuela, pregiudicando in modo irreparabile le indagini. Oddio, a sentire Maria Antonietta non è che fosse accaduto granché, dopo la scomparsa della sorella. «Non si è messo niente finché non è scomparsa anche Emanuela Orlandi», ha denunciato, sempre davanti ai commissari, nella sua audizione del 9 maggio. Un giudizio severo sull’operato degli investigatori su cui ha concordato, a posteriori, Giancarlo Capaldo, il magistrato della procura di Roma titolare delle indagini dal 2008 al 2015. «Mirella Gregori è scomparsa il 7 maggio, di lei non si è più saputo niente e nessuno se ne occupava», ha detto nella seduta del successivo 18 luglio. Del resto, in quell’anno maledetto, di persone finite nel nulla ce ne furono tante. «Soltanto nel 1983, sono scomparse a Roma 54 ragazze di età compresa tra i 15 e i 16 anni», ha ricordato Capaldo. Le cose cambiano quando -appunto - la sorte di Mirella viene accomunata a quella di Emanuela Orlandi, la cui sparizione diventa un caso nazionale: il 3 luglio Papa Giovanni Paolo II lancia il primo dei suoi otto appelli per la liberazione della cittadina vaticana. Occhio alle date: il 1° agosto sul settimanale Panorama esce un servizio sulle ragazze sparite. Titolo: “Emanuela e le altre”. C’è anche Mirella, di cui la rivista pubblica una foto che la ritrae proprio insieme al Papa, durante un incontro del Pontefice con le scuole. Tre giorni dopo, una delle fantomatiche sigle che si intesta il “rapimento” di Emanuela, il fronte di liberazione turco anti-cristiano Turkesh, nel suo comunicato di richieste nomina anche Gregori: «Mirella Gregori? Vogliamo informazioni. A queste condizioni la libereremo (ma Emanuela, ndr)».Il 6 agosto la famiglia di Mirella decide di affidarsi allo stesso legale che il Sisde, gli 007 civili, aveva “consigliato” agli Orlandi: l’avvocato Gennaro Egidio. Solo che la parcella, alla famiglia di Emanuela, la pagheranno gli 007, invece ai Gregori no («mio padre e mia madre si sono indebitati per pagare l’avvocato Egidio»). E non sarà l’unica stranezza di questa vicenda. Il 28 agosto il cerchio si chiude: nell’ultimo dei suoi appelli pubblici sul caso Orlandi, il Pontefice per la prima volta nomina anche Mirella. Le vicende delle due scomparse sono ora indissolubilmente legate. «Il caso di Mirella Gregori viene ripescato in quel momento», ha ricostruito ancora Capaldo. Prima di allora, la ragazza «era stata sepolta in un luogo della memoria». Perdendo tempo prezioso, non approfondendo piste di cui la Commissione d’inchiesta ha mostrato una certa consistenza.
E allora bisogna tornare al punto di partenza. A quel pomeriggio del 7 maggio 1983, quando Mirella Gregori, dopo essere rientrata a casa da scuola, sente suonare il citofono, risponde e dice a mamma Vittoria: «Ah sì, Alessandro, il mio compagno di scuola. Dammi cinque minuti». E scende. Solo che, invece di incontrare questo Alessandro (che smentirà di avere un appuntamento con lei), Mirella si dirige al bar gestito dai genitori della sua amica del cuore, Sonia De Vito, che dista pochi passi da casa, sempre su via Nomentana (al numero 81). Prima questione: che fine fa questo Alessandro (o chi per lui) dopo aver citofonato? Sparisce nel nulla. Comunque Mirella svolta a destra ed entra nel bar per incontrare Sonia. Le due ragazze vanno in bagno e parlottano per circa 15 minuti. Non fosse per l’intervento del barista, Giuseppe Calì (ascoltato dalla Commissione), resterebbero a confabulare per un tempo ancora più lungo, occupando i servizi che servono ai clienti. Poi escono e, secondo Giuseppe, Mirella indossa la maglietta di Sonia. L’amica del cuore e il barista sono le ultime persone che vedono Mirella. Sono i testimoni chiave. Solo che Sonia fa confusione. Cambia versione sul quel colloquio e sulla destinazione dell’amica. All’inizio riferisce che Mirella esce a va verso villa Torlonia, quindi alla sinistra del bar. Poi invece dichiara che Mirella le dice che sarebbe andata a Porta Pia, quindi alla destra del bar uscendo su via Nomentana, per poi solo in seguito andare a villa Torlonia a suonare la chitarra (una passione musicale che però a Maria Antonietta non risulta). Un percorso senza senso, tortuoso, visto che per raggiungere la villa dove dimorò il Duce sarebbe stato più logico e più veloce, per tutti, partire dal bar e quindi svoltare a sinistra, senza l’inutile tappa al monumento del Bersagliere di Porta Pia. Dal canto suo, il barista – al servizio dei De Vito dal 1978 al 1985 - sostiene che Mirella sia uscita e «andata verso il monumento al Bersagliere: come poteva andare a villa Torlonia?». Eppure è quello che Sonia dichiara all’inizio, salvo poi invertire il tragitto. Sonia De Vito è stata sentita dalla Commissione, ma ha chiesto di essere ascoltata in seduta segreta. Il suo fidanzato dell’epoca, attuale marito, Fabio Massimo De Rosa, è stato convocato due volte e ha spesso perso le staffe davanti ai deputati e ai senatori. Maria Antonietta Gregori, a distanza di anni, ancora si rammarica del comportamento di Sonia. «Persona ambigua», l’ha definita nella seduta inaugurale della Commissione, «è impossibile che non sappia niente». E durante i lavori, più di un componente dell’organismo bicamerale si è posto la domanda: perché all’epoca non sono stati effettuati accertamenti nel locale dei De Vito?
A Sonia è legato anche un altro mistero: dal faldone su Emanuela Orlandi, è spuntata la trascrizione di un’intercettazione effettuata all’epoca dal Sisde proprio nel bar. Questa l’affermazione attribuita a De Vito: «Lui non lo conoscevamo, lui conosceva noi. Come ha preso Mirella, poteva prendere anche me». Se l’unione al caso di Emanuela Orlandi è solo una cortina fumogena o, peggio, un depistaggio utilizzato per avvalorare una “pista internazionale” per il rapimento della cittadina vaticana, per capire che cosa sia accaduto a Mirella probabilmente occorre posare gli occhi su quei pochi chilometri entro cui vivevano i Gregori. Maria Antonietta più volte, nel corso degli anni, ha denunciato il fatto che la notte della scomparsa nessuno sia «andato a vedere giù in fondo, negli scavi di villa Torlonia, che stavano ristrutturando, se ci fosse, sotto terra, il corpo di mia sorella. Nessuno ha mai fatto niente, neanche nei mesi seguenti. Se hanno costruito sopra e sotto c’è il corpo di mia sorella, non lo sapremo mai». Per cercare la verità, per lei non occorre alzare troppo lo sguardo: «Le piste investigative possono essere quelle per un femminicidio». E il movente – sia per Mirella, sia per Emanuela – sarebbe da ricercare, secondo Capaldo, nell’ambito sessuale: «Penso che le vicende Orlandi e Gregori nascano tutte da un interesse alla sessualità minorenne, dalla pedofilia, ma in contesti diversi e con responsabilità diverse». Il giorno prima della scomparsa, al bar di famiglia, mamma Vittoria vide «due individui di colore mediorientale» cercare con insistenza di fotografare Mirella. Li cacciò via. Anche a questa pista non fu mai dato seguito.