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Cavalli: La portavoce di Donald che a ventisette anni azzanna i giornalisti dem
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Qualunque faccenda stavate sbrigando il 24 agosto del 1997 era certamente meno promettente di quella di cui si stava occupando la signora Leavitt: mettere al mondo sua figlia, Katrine, che a 27 (ventisette) anni detiene il primato di più giovane portavoce della Casa Bianca. Potremmo fare spallucce, sotto la voce «persone che hanno fatto cose ragguardevoli a 27 anni» c’è anche Luigi Di Maio vicepresidente della Camera, eppure questa giovane donna non ha solo splendidi capelli. La stampa americana si è soffermata sulla chioma perché, dicono, intorno a Donald Trump hanno tutte una capigliatura tradizionale, espressione tricologica dei valori MAGA: molto femminile, che richiede cura e lunghe preparazioni. Se state pensando «se fossero uomini nessuno parlerebbe dei loro capelli» potete smettere: non si parla dei capelli degli uomini perché o non ne hanno o ne hanno pochi o sono brutti, in ogni caso non sono interessanti (a meno che non si tratti del ciuffo di Trump, e infatti di quello si parla).
FAMIGLIA E STUDI
All’estetica conservatrice corrisponde il pensiero conservatore (escluso il dolce sorriso, poi ci arriviamo, date un’occhiata ai canini) di Leavitt, che viene dal New Hampshire, la famiglia ha una concessionaria di camion e una gelateria in cui la piccola Katrine lavora durante l’estate. Gioca a softball, che ha la stessa logica del baseball ma il campo è di dimensioni ridotte, la pallina è più grande, la durata della partita è inferiore: sostanzialmente, si addice di più alle donne (cvd: forma e sostanza). È brava, vince una borsa di studio per il college cattolico Saint Anselm (porta sempre la croce al collo), studia scienze politiche e comunicazione, è la prima della sua famiglia a conseguire una laurea. Fa uno stage a Fox News ed entra nel team di Kayleigh McEnany, l’ultima dei quattro addetti stampa che Trump impallinò durante la prima amministrazione. Segue poi la deputata di New York Elise Stefanik, ora nominata da Trump ambasciatrice all’Onu e altra enfant prodige (nel 2014 venne eletta deputata a soli trent’anni, la donna più giovane mai eletta al Congresso).
LA CAMPAGNA
A 25 anni, Leavitt, t-shirt rossa e braghette, gira lo stato per una campagna elettorale, la sua: si candida al Congresso, vince le primarie repubblicane ma viene sconfitta dal rappresentante democratico. «La mia generazione è plagiata dalla sinistra, dai social media, dalla cancel culture, dai media mainstream, da Hollywood e dall’istruzione superiore», dice. E Joe Biden va eliminato, fuor di metafora: nel 2022 postò su Instagram un video in cui era al poligono e sparava a raffica, la didascalia era “prenditi questo, Biden”. Per far rinsavire la Generazione Z, c’è bisogno di Trump. Il repubblicano le piace da impazzire, dice che è uno degli uomini più generosi e divertenti che conosca, durante la campagna elettorale lo segue come si segue un neonato, dorme quattro ore per notte. Di neonato, a luglio, ha dovuto gestirne un altro, Niko, che ha partorito tre giorni prima dell’attentato al presidente: è tornata a casa dall’ospedale, ha acceso la tv, ha detto al marito «mi sa che devo tornare al lavoro». Così ha fatto. Il marito, Nicholas Riccio, di anni ne ha 59 (cinquantanove), a 18 anni era senza un soldo, lavorava in un negozio di alimentari, si pagava l’università e dormiva in macchina per spendere in un affitto. Poi un amico gli consigliò di seguire un corso per diventare agenti immobiliari: ora ha un impero immobiliare multimilionario, con proprietà che vanno da Boston alle White Mountains. Dicevamo dei canini: ha grande abilità del gestire la stampa tradizionale («il suo stile non fa prigionieri», dicono di lei) e i nuovi media (e infatti nelle conferenze stampa accoglie Tiktoker, podcaster e blogger). Dopo la sua prima conferenza stampa, a fine gennaio - si è presentata senza appunti perché, dice, conosce a mena dito le politiche del presidente e ha la verità dalla sua parte- persino il New York Times ha dovuto scrivere che era stata «d’acciaio», anche se avrebbe gradito un po’ più di deferenza.
La frase «vi chiameremo quando troveremo errori nei vostri articoli o quando farete disinformazione» non è piaciuta affatto ai colleghi (che di questi tempi, invece, dovrebbero essere entusiasti alla notizia di avere almeno un paio di lettori affezionati). Un consiglio le è arrivato dall’ex stratega Steve Bannon, l’ideatore della tecnica «flood the zone», inondare l’area, un’arma di distrazione di massa per i giornalisti: sono stupidi e pigri, disse in un’intervista, e riescono a concentrarsi su una cosa alla volta; quindi, «se noi ogni giorno li colpiamo con tre cose, loro ne morderanno una soltanto e intanto possiamo fare tutto». Bannon non ha perso la sua indole alluvionale: ha suggerito a Leavitt di spostare i briefing con la stampa dall’ala ovest della Casa Bianca all’Eisenhower Executive Office Building, in fondo alla strada. In questo modo, ha detto, verrebbe ripristinata la funzione che la sala aveva quando erano in carica John F. Kennedy e Lyndon B. Johnson. C’era la piscina personale del presidente. Ai giornalisti conviene saper nuotare.
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Giustizia privata, né buoni né cattivi
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