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Molteni: la Siria di Al Sharaa fa la guardia a Damasco per conto dei turchi

Mirko Molteni
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 Domenica Al Jolani ha confermato la ricostituzione di un nuovo esercito siriano aggregando le milizie a guida HTS: «Migliaia di persone si stanno unendo al nuovo esercito siriano». Al Jolani ha sciolto il vecchio esercito, eliminando la coscrizione e aprendo a volontari. Ha trasformato le sue milizie nella nuova armata di Damasco e così l’ha presentata, facendo il raffronto col cambio di regime in Iraq nel 2003, dopo la caduta del partito Baath di Saddam Hussein: «Ci sono importanti differenze tra la Siria di oggi e l’Iraq della de-baathificazione. Non ho sciolto l’esercito senza avere un’alternativa. Ho portato con me l’alternativa. Molti ex ufficiali avevano disertato e ora stanno entrando a far parte dell’attuale ministero della Difesa».

Dietro c'è la Turchia, il cui presidente Recep Erdogan ha, di fatto, “appaltato” ai seguaci di Al Jolani il ruolo di guardiani delle sue frontiere meridionali, nonché di avanguardia per l’espansione di una sfera d'influenza “neo-ottomana” con cui Ankara spera di rinverdire i fasti dei sultani. Il 4 febbraio scorso, il presidente siriano ha incontrato Erdogan ad Ankara e ha parlato con lui di assistenza militare. Militari turchi addestreranno i colleghi siriani, inoltre verrà concesso all'aviazione turca l'intero spazio aereo siriano. Sono previste due basi militari turche nel deserto siriano di Badiyah, pare a Palmira e nella preesistente base siriana T4, entrambe nell'area di Homs. Proprio a Homs ci sono focolai di resistenza dei vecchi sostenitori di Assad, essendo un'area alawita, la setta simil-sciita nerbo del vecchio regime.

 

UNA DIFFICILE UNITÀ

Tenere unita la Siria è uno dei compiti che Ankara ha affidato a Damasco. Specie, impedire che l'area autonoma che i curdi delle milizie YPG ed SDF si sono ritagliati nel Nordest si trasformi in uno stato curdo indipendente la cui esistenza faccia da calamita per i milioni di curdi che vivono nel Sudest della Turchia e nel Nord dell'Iraq. Nelle ultime settimane le milizie siriane di Al Julani, appoggiate da aerei e droni turchi hanno lottato ancora contro le milizie curde presso Manbji, Kobane e la diga Tishrin sull'Eufrate. I curdi sono alleati dei soldati americani gravitanti sulla base di Al Tanf e nell'area dei pozzi di petrolio Conoco. Lì schierati dal 2014 per la lotta ai terroristi dell'Isis, i soldati USA erano 900 uomini, ma sono aumentati a 2000 nel 2024. Il nuovo presidente USA Donald Trump vorrebbe ritirarli. Ma il 5 febbraio scorso il portavoce dei curdi SDF, Farhad Shami, ha sostenuto di “non essere a conoscenza di piani di ritiro USA”, rilanciati da indiscrezioni della NBC. Ha però ricordato che la partenza dei militari USA renderebbe più difficile ai curdi vigilare su una eventuale risorgenza dell'Isis.

Nel loro risiko, sembra che i turchi, più interessati al controllo geopolitico e militare, abbiano lasciato che Damasco si rivolgesse alle ricche monarchie del Golfo Persico per la ricostruzione economica. Intanto, ieri, è emersa la prossima ripresa degli scambi commerciali fra Siria e Iraq, come confermato dal capo del Consiglio commerciale iracheno-siriano, Hassan al Sheikh: «La parte siriana ha completato le richieste relative a dogana, controllo passaporti e sigilli ufficiali. Aspettiamo la firma di un accordo tra le autorità di sicurezza irachene e le loro controparti siriane che delinei le procedure operative, l’elenco delle merci, la documentazione necessaria, come certificati di origine, dichiarazioni doganali e rapporti di ispezione». Prima di andare ad Ankara, è stato a Riad, il 2 febbraio, che Al Julani ha compiuto la sua prima visita all'estero, giungendovi fra l'altro su un aereo saudita, e incontrando il principe Mohammed bin Salman per concordare “cooperazione umanitaria ed economica”. Una visita importante, preparata una settimana prima dalla capatina a Damasco del ministro degli Esteri saudita, Faisal bin Farhan. L'Arabia Saudita aveva già ospitato il 12 gennaio 2025 una grande conferenza sulla Siria con paesi arabi e occidentali. Non da meno è il ruolo del Qatar, poiché il 30 gennaio è stato l'emiro qatariota Tamim bin Hamad Al-Thani il primo capo di stato estero a visitare la “nuova” Damasco.

 

BASI STRANIERE

A parte i casi americano e turco, il tema dell'occupazione di parti della Siria da parte di potenze straniere riguarda anche Israele e Russia. L'esercito israeliano, che è entrato unilateralmente nella fascia del Golan siriano nel dicembre 2024, profittando del crollo di Assad, non ha intenzione di ritirarsi e porrà un grosso dilemma ad Al Jolani. Il 29 gennaio fonti dell'esercito ebraico hanno rammentato che «rimarremo nel Golan a tempo indeterminato». E la propensione dei soldati con la Stella di Davide a trincerarsi nel Sud della Siria è rafforzata dalle rivelazioni del Washington Post, che il 3 febbraio dava per già realizzate due basi militari israeliane nella zona, più una terza in fase di preparazione. Se Israele si sente forte e sfida Damasco, la Russia, al contrario, indebolita al lumicino dalla caduta di Assad, sta trattando da ormai due mesi per conservare le sue posizioni nella base navale di Tartus e nella base aerea di Hmeimm, vicino Latakia, irrinunciabili come punti d'appoggio e trampolini per la proiezione delle forze di Mosca nel Mediterraneo e nel Sahel. Forse i russi potrebbero conservare le basi siriane, a patto di concessioni a Damasco. E infatti il 6 febbraio il ministro della Difesa siriano Murhaf Abu Qasra ha dichiarato al Washington Post che «in politica non ci sono nemici permanenti e i russi potranno tenersi le basi se ne ricaveremo benefici per la Siria».

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