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Silvia Stucchi: una grande abbuffata di cibo di... Celluloide

di Silvia Stucchi lunedì 13 gennaio 2025
Silvia Stucchi: una grande abbuffata di cibo di... Celluloide

5' di lettura

L’ avete mai assaggiata la Torta Andrea? E il burrobirra? E avete mai cucinato i pomodori verdi fritti? Tutte queste ricette – e molte altre – le potrete scoprire sfogliando le pagine di Gusto/Disgusto di Luca Fassina (Oligo, 90 p., 13 euro). L’autore, che già ci aveva fatto scoprire, sempre per Oligo, le ricette nascoste nei libri del re dell’horror (Cucina. Stephen King: ricetta per un disastro, 2022), nonché stramberie e predilezioni gastronomiche dei cantanti più celebri (Spaghetti. Le rockstar a tavola: dagli AC/DC a Zucchero), ci diletta ora con ricette, cibi, bevande e, perché no, con i luoghi stessi resi iconici dal cinema.

Cibo e celluloide, dunque: infatti, nei film il cibo è fonte di gioia o rappresentazione del grottesco; oppure sottolinea passaggi salienti e infonde un tono intimo a sequenze memorabili. Pensate, per esempio, a Insonnia d’amore, di Nora Ephron, deliziosa commedia del 1993: mentre ancora i due protagonisti, Annie e Sam (interpretati da Meg Ryan e Tom Hanks) sono separati da migliaia di chilometri, lei a Baltimora e lui a Seattle, il figlioletto di Sam ricorda la mamma morta, dicendo che riusciva a pelare una mela in una sola, lucida striscia di buccia. E, proprio in quell’istante, la stessa cosa sta facendo Meg Ryan dall’altra parte degli USA: chiaro segno che lei è la donna giusta per quella piccola famiglia composta da padre e figlio.

SCENE FAMILIARI
In altri casi cibo e le scene conviviali servono per definire un’atmosfera e un ambiente: pensiamo alla bella famiglia – tipo italiana riunita attorno alla tavola per la Vigilia di Natale in Parenti serpenti (1992) di Mario Monicelli, un cult che tutti dovrebbero vedere e rivedere): qui, nonni e nipoti, figli e figlie, nuora e generi gustano il cenone. Che cosa fa più “famiglia” delle paste ripiene fatte in casa, del capitone e delle specialità tradizionali, magari con la mamma, seduta al tuo fianco, che ti spina ancora il pesce nel piatto? Eppure, l’avvolgente atmosfera natalizia, il senso di protezione e calore determinato dai cibi che riportano all’infanzia, non è che un’illusione: e in voluto contrasto con la dolce atmosfera natalizia emergono, già dai discorsi dei commensali, caratteri esegreti a lungo sopiti, sarcasmi e conflittualità, sino all’annuncio dei nonni, che determinerà la deflagrazione (in ogni senso), del precario equilibrio familiare.

In altri casi, il cibo è coprotagonista della pellicola insieme al primo attore: è il caso di Vatel (2000) di Roland Joffé, in cui si narra la vita dello storico cuoco e maestro di cerimonie del Principe di Condé, morto suicida per l’onta del ritardo nella fornitura del pesce in occasione di un importantissimo banchetto, culmine dei festeggiamenti durante i quali il Re Sole, ospite del Principe, avrebbe dovuto rapaccificarsi con lui: le infinite sequenze relative alla ricerca delle materie prime, alla loro lavorazione e trasformazione in autentiche opere d’arte edibili, definiscono il personaggio e la sua cura per il particolare meglio di mille dialoghi.
L’uomo è quel che mangia, giusto? Dunque attraverso le nostre scelte alimentari non solo ci nutriamo – più o meno equilibratamente –, ma definiamo noi stessi, la nostra identità, la nostra personalità: così, è memorabile la sequenza di Alberto Sordi in Un americano a Roma (1954) di Steno. Come è noto, Sordi interpreta Nando Mericoni, giovane romano che vive nel mito dell’America.

E volendosi adeguare anche a tavola ai suoi modelli, Nando si prepara - o crede di farlo - un pranzo all’americana, a base di latte, marmellata, yogurt e senape, disdegnando la pasta («roba da carrettieri») e il vino rosso. Il poveretto cerca di persuadersi che quel cibo sia appagante («roba sana, sostanziosa», dice), ma mentre lo mastica con poco entusiasmo, continua a lanciare occhiate concupiscenti al piatto di spaghetti fumanti. E alla fine esplode: «Maccarone, m’hai provocato e io ti distruggo, adesso me te magno!», dice, lanciandosi sulla pasta. In meno di cinque minuti, la genialità di Steno – e di Sordi – ha delineato, meglio di decine di pagine di sociologia, le contraddizioni di un’epoca in cui l’Italia, benché affascinata dalla modernità di cui sono simbolo gli Usa, resta inscindibilmente legata alle sue radici, anche culinarie. Ma il cibo può filmicamente anche essere strumento per creare disgusto: pensiamo a Che fine ha fatto Baby Jane? (1962) di Robert Aldrich: siamo certi che sotto la cloche d’argento che Jane porta alla sorella Blanche ci sia qualcosa che non va, ma lo scopriamo solo quando la cupola viene sollevata e vediamo che cosa Jane abbia cucinato (ma io non ve lo dico per non guastarvi l’appetito). E nel nostrano Fantozzi (1975) di Luciano Salce la sequenza del ragionier Fantozzi che riesce finalmente, e malauguratamente, a portare la signorina Silvani al ristorante giapponese è da manuale.

LA TORTA ANDREA
Non parliamo poi dei piatti succulenti ed elaboratissimi cucinati dal Dottor Hannibal Lecter, con – diciamo così – ingredienti di provenienza eterodossa: non a caso, nella serie televisiva, interpretata da Mads Mikkelsen, il cibo, e la sua preparazione, nella quale lo psichiatra coinvolge talora alcuni amici, è assoluto protagonista, con sequenze che hanno richiesto l’intervento di chef e food-designer.

In chiusura del libro, Fassina tocca anche il tema del cibo immaginario: ovvero, prodotti che non esistono, ma che, citati in film o serie televisive, diventano di culto. Un esempio è la Duff Beer, che nei Simpson è la parodia delle birre americane di massa, e che molti, sull’onda del successo di Homer e famiglia, hanno cercato di commercializzare, scatenando le ire degli avvocati della Fox, che, ne hanno – quasi – sempre bloccato la distribuzione. Il più celebre degli esempi italiani è il Cacao Meravigliao, sponsor della mitica trasmissione arboriana Indietro tutta (1987-1988), diventato tanto popolare (anche grazie al jingle orecchiabilissimo), che molti andarono a cercarlo nei negozi e supermercati, costringendo i gestori a esporre il cartello: “Noi non vendiamo il cacao meravigliao”. E alla fine di questa cavalcata fra il cibo di celluloide, forse, vi sarà restato un interrogativo: come si fa la Torta Andrea? Non ve lo dico, ma vi consiglio, per scoprirlo, di leggere il libro di Fassina, o di rivedere La grande abbuffata (1974) di Marco Ferreri.

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